come cambiano i rapporti di forza
Le mani di La Russa su Fontana e sulla Lombardia di Salvini
Stando ai sondaggi Fratelli d'Italia potrebbe assediare il Pirellone con una falange di ventisette consiglieri. Una partita in cui il fratello del presidente del Senato potrebbe giocare un ruolo centrale, con aspirazioni da vicepresidente
I perfidi dicono già l’avvocato dovrà reinventarsi “notaio”: semplice ratificatore, cioè, di decisioni prese da altri. Gli altri, nella fattispecie, sono i Fratelli d’Italia del nord. Lui è Attilio Fontana, presidente della Lombardia certo ormai della riconferma alla guida della regione, ma certo pure di dovere appoggiarsi, per governare, a un partito che non è il suo. Matteo Salvini, del resto, il mezzo collasso nel giardino di casa del leghismo che fu, lo ha messo in conto. E’ convinto che questo nuovo abito indossato, quello del ministro che parla poco e si dà molto da fare, che si mostra dedito a spegnere più polemiche di quelle che alimenta, pagherà. Ma sa che il trend è quello che è: e alla sera del 13 febbraio, quando inizierà lo scrutinio, dovrà fare buon viso a cattivo gioco. Ha iniziato già, in effetti. Rivendicando, cioè, come in Lombardia “resterà il nostro presidente, l’Attilio”. Solo che se la subalternità alla destra meloniana è per certi versi nella logica delle cose a Roma e nel Lazio, lassù in Padania, sotto la Madonnina, quella di Fontana rischia di essere una vittoria amara. “Perché sarà un presidente commissariato dai meloniani”, se la ridono nel Comitato nord i bossiani ribelli. I numeri, certo, paiono impietosi. Il Carroccio, che nel 2018 elesse trenta consiglieri, ne riporterà, se davvero si attesterà intorno al 12-13 per cento come pare, non più di dodici. FdI, che nel 2018 ebbe appena tre rappresentanti, assedierà il palazzo con una falange di ventisette, forse ventotto soldati. E la composizione della giunta ne conseguirà. Che in Via della Scrofa stiano già facendo la lista della spesa, è cosa nota. Con questo risultato, e dovendo scontare il fatto che il presidente è “concesso”, dicono, alla Lega, FdI è convinta di poter rivendicare gli assessorati più importanti. Il Turismo è dato per scontato, la Sanità quasi così come il Bilancio, le Attività produttive sarebbero il corredo richiesto. Con un vicepresidente già designato a cui assegnare deleghe pesanti.
E sì che per Fontana potrebbe perfino andare peggio. Perché il suo vice in pectore, stando alle previsioni della vigilia, è quel Marco Alparone – fare conciliante, provenienza forzista, approccio moderato e grande attenzione al mondo imprenditoriale – con cui l’Attilio ha un rapporto di consolidata intesa. Cosa che, invece, non si può dire di Romano La Russa. Anzi, l’ingresso in giunta del neo assessore alla Sicurezza, dopo l’elezione alla Camera del conciliante Riccardo De Corato, ha segnato l’avvio delle ostilità di fine consiliatura, in regione. E non solo per via dei bracci mezzi tesi nei raduni dei nostalgici. E non solo per un carattere spigoloso che non aiuta. Il fatto è che Romano, che “fratello” d’Italia lo è a tutti gli effetti, proprio al fratello, presidente del Senato, fa diretto riferimento. Lo fa per la composizione delle liste (“Ignazio mi ha detto”, “Ignazio non vuole”, “Ora sento Ignazio”) e spesso anche nei vertici di maggioranza, quando scavalca, o aggira, l’autorità dell’altra generalessa lombarda di Donna Giorgia, e cioè Daniela Santanchè. Potrebbe insomma essere lui, il La Russa meno noto, a contendere proprio ad Alparone i gradi di vicepresidente – e forse, si dice, quelli di assessore alla Sanità, magari alimentando la voce per cui, essendo il fratello di Alparone un dirigente regionale nel campo sanitario, si rischierebbe il conflitto d’interessi.
Oltre alla giunta, per cui già si fanno anche i nomi di Franco Lucente e Marco Bestetti, di recente approdato da FI, l’altro oggetto del desiderio meloniano sono le strutture e gli apparati. Com’è normale. Se non fosse che a rendere assai delicato l’eventuale spoils system è la presenza, lì nelle sale dei bottoni, di molti fedelissimi di Salvini, compresa la potente sua ex compagna, Giulia Martinelli. Tra tanti vantaggi, però, l’apoteosi lombarda porterà anche una rogna. Quella dell’autonomia. Finora FdI, a Milano, ha sempre scelto la linea del “chissà”: molti silenzi, molte astensioni in Consiglio, cautela esasperata. Arrivata al governo della regione, dovrà sciogliere le ambiguità, in un senso o nell’altro. E a quel punto, dovrà scegliere tra il dare un dispiacere a Fontana, e al popolo autonomista lumbàrd, o il creare un cortocircuito con Roma, dove di autonomia, Meloni, vuole sentirne parlare il meno possibile.