l'analisi
Autonomia, una riforma giusta fatta in modo sbagliato. Cosa non torna nel metodo Calderoli
Abbiamo realizzato un sistema che ha tutti i peggiori difetti del centralismo e del decentramento senza avere i vantaggi né dell’uno né dell’altro. Ragioni per guardare con disincanto la bandiera di Salvini approvata in cdm
Sono un sostenitore del principio del beneficio einaudiano e del modello decentrato di Stato che aveva in mente Luigi Sturzo (e non pochi membri non solo democristiani della Costituente). Credo nei vantaggi degli Stati federali, ma so bene che la storia italiana di recente e malfatta unità ci pone una sfida enorme. Abbiamo realizzato un sistema che ha tutti i peggiori difetti del centralismo e del decentramento (che non è autonomismo) senza avere i vantaggi né dell’uno né dell’altro. Ecco perché guardo con disincanto alla bandierina trionfante di Salvini apposta giovedì all’approvazione in Consiglio dei ministri della bozza di disegno di legge di attuazione dell’autonomia differenziata delle regioni ordinarie.
L’accelerata in vista delle regionali lombarde ha trasformato una questione molto seria in un torneo contrapposto di urla. E così non si va da nessuna parte. Cerchiamo di capire perché. Non è vero – glie ne va dato atto – che il ministro Calderoli non abbia introdotto novità. Cerca abilmente di evitare il primo grande problema: le 23 materie apposte in Costituzione 22 anni fa da una sinistra che credeva così di levare la bandierina alla destra, e poi fatte sornionamente approvare in referendum popolare consultivo da una destra trionfante. Molte di quelle materie sono state scelte coi piedi: spezzano in maniera suicidaria l’economia italiana su reti di trasporto, reti energetiche, rapporti commerciali con Ue ed extra Ue. L’esperienza pandemica e ucraina insegnano che bisogna semmai portare molte di quelle materie a scelte e risorse comuni europee, non certo a micromercati regionali italiani divisi e contrappoosti. Calderoli proporrà uno “spacchettamento” in ambiti di queste materie, per sminare il problema. Bene: ma finché non capiamo cosa e come, impossibile esprimersi. Era molto meglio un confronto preliminare serio di un paio di mesi in Conferenza Stato-Regioni, una riflessione comune sul fatto che diverse delle 23 materie in Costituzione sono richiedibili, ma è meglio per responsabilità nazionale non chiederle.
Secondo: è impossibile dare un giudizio sui rischi di ulteriore aggravio dei divari nei servizi pubblici essenziali tra nord e sud, finché non si capirà come si vogliono calcolare i Lep (livelli essenziali di prestazione). E qui vengono i tempi e i modi. Dopo il sì sulla bozza in cdm, il testo va per un parere alla Conferenza Unificata, poi torna in cdm. Poi va in Parlamento che dovrebbe votare la legge di attuazione. Ma prima che si stabiliscano i Lep e senza sapere un’acca di che cosa potrebbe venirne fuori. Perché sui Lep nasce una cabina di regia ad hoc, con 6 mesi per decidere su cosa calcolarli – non solo sanità e scuola, anche sui servizi per il lavoro, costo opere infrastrutturali e via proseguendo – dopodiché altri 6 mesi per calcolarli in concreto, con vasto concorso di tutti gli enti pubblici da Istat a Sose a Inps a Ragioneria di Stato. E siamo già arrivati a metà 2024. Dopodiché sui Lep il Consiglio dei Ministri emette un Dpcm, su cui Conferenza Unificata e Camere si limitano a dare un parere. Non ci siamo per niente.
Con questa procedura di voto parlamentare su una legge di attuazione senza Lep, e di un Dpcm emanato al governo senza controllo né voto parlamentare se non a numeri fatti, l’atmosfera sarà così rovente che ogni serio ragionamento di merito verrà travolto. Solo a quel punto partono le prime richieste delle regioni, dopo un mese inizia la trattativa col governo, per tutto il tempo finché non si raggiunge l’intesa che viene votata in cdm, dopo la si invia al parere di Conferenza Unificata e Camere, le cui osservazioni il governo è libero di accogliere o meno in 60 giorni. A quel punto l’intesa modificata torna alla regione. Dopodiché torna in Consiglio dei ministri che la emana come disegno di legge, e sul disegno di legge si esprime il parlamento con maggioranza assoluta dei voti. Nel più liscio dei casi, un’intesa operativa di autonomia differenziata ci sarà solo a inizio 2025. Ma il punto politico è che non si è partiti da un confronto serio né sulle materie richiedibili, né sui servizi su cui calcolare i Lep, né sul criterio finanziario e sui benchmark da utilizzare per calcolarli. E senza questi numeri nessuno sa davvero quanto tutto questo costerà, visto che è impensabile affrontare i gap del sud a finanza invariata, né chi lo pagherà e come, tra contribuente nazionale e locali. Su una materia così delicata, decidere di decidere senza dati è la certezza di decidere male. Il peggior errore da evitare.