I cento giorni clamorosamente impeccabili del ministro Salvini
Immerso nei cantieri, lontano dalle polemiche, in lotta contro la cultura del no: è la buona ruspa dell’umarèll di governo
Gliene abbiamo dette di ogni, lo sappiamo. Lo abbiamo malmenato. Lo abbiamo maltrattato. Lo abbiamo chiamato Truce. Lo abbiamo definito incapace. Lo abbiamo considerato pericoloso. Lo abbiamo associato ai peggiori istinti xenofobi che esistono in Europa. Lo abbiamo preso in giro per la sua capacità unica di riuscire a dire sempre la cosa sbagliata nel momento giusto. E lo abbiamo spesso considerato come un politico più a suo agio in mutande al Papeete che in cravatta in un ministero. Ma in politica a volte le cose possono cambiare. E così, a circa cento giorni dall’inizio del governo, occorre riconoscere quello che mai avremmo pensato di scrivere sulle pagine di questo giornale. E cioè che, almeno fino a oggi, il ministro più disciplinato e più pragmatico del governo Meloni è senza dubbio un ministro il cui profilo appare essere spesso agli antipodi delle categorie appena elencate.
Quel ministro, lo avrete forse intuito quando abbiamo scritto la parola “mutande”, è proprio lui. E’ il ministro delle Infrastrutture. E’ il ministro che scioccamente Roberto Saviano ha definito della “Malavita” e che invece meriterebbe di essere definito come il ministro della Nuovavita. E’ Matteo Salvini. In tre mesi, Salvini, assumendo una posa poco salviniana, ha girato l’Italia non, come da sua specialità, per fare “buu” ai migranti, per citofonare in giro per l’Italia chiedendo “scusi lei spaccia” o per invitare gli italiani a dare un calcio all’Europa. In tre mesi, tranne qualche tweet infelice sugli insetti che l’Europa vorrebbe farci mangiare a forza, qualche imbarazzo creato a Meloni sul caso Open Arms e qualche frase fuori luogo sulla presenza di Zelensky a Sanremo, dove forse l’ex Truce, visti i numeri degli influencer invitati sul palco da Amedeus avrebbe voluto esserci, il profilo di Salvini, anche quello social, è cambiato in modo radicale e al centro della sua agenda politica, il leader della Lega, ha messo solo ed esclusivamente la sua attività da ministro, mosso dalla saggia intenzione di sbloccare l’Italia (ieri, Salvini era a Roma, a Porta Metronia, a lavorare sulla metro C: vasto programma).
E dunque, anche a costo di apparire come l’umarèll del governo, che dal ciglio della strada osserva quotidianamente gli operai al lavoro nei cantieri con l’aria di quello che la sa lunga, Salvini non perde un giorno a parlare di infrastrutture da costruire, ponti da realizzare, tunnel da scavare, sovrintendenze da sbloccare, codice degli appalti da riscrivere, cultura del no da sconfiggere e soldi europei da investire nonostante arrivino dagli stessi burocrati che vogliono infilare nelle bocche dei nostri figli tutti gli insetti del mondo. Il Salvini ministro con la ruspa è un Salvini che sorprendentemente convince, che incredibilmente stupisce i suoi interlocutori, che inaspettatamente lavora, come si dice a testa bassa, e che ha diligentemente scelto una via nuova alla ricostruzione della Lega: trasformare ogni cantiere presidiato dal ministro umarèll in un’occasione per differenziare il suo partito, il Pdf, il partito del fare, dal partito di Meloni, che nella Lega definiscono il Pdc, partito del chiacchierare. E dunque poche polemiche, molta disciplina, molto autocontrollo, favorito anche dalla scelta di passare molto tempo non negli uffici da vicepremier a Palazzo Chigi, non negli uffici di ministro a Porta Pia, ma nell’ufficio che il leader della Lega ha affittato misteriosamente qualche mese fa a Roma, a pochi passi da Piazza Cavour. E persino un tratto di responsabilità che lo ha spinto a portare la Lega a votare al Parlamento europeo una mozione che definisce “terroristica” l’azione di Putin.
A voler essere maliziosi, si potrebbe dire che l’atteggiamento di Salvini è quello di chi, non sapendo bene come districarsi nella stagione meloniana e non sapendo ancora che spazi ritagliarsi nel governo, sta lì, da buon umarèll, a bordo cantiere e a bordo fiume aspettando di poter raccogliere i frutti degli eventuali errori meloniani. Può darsi che sia così (anche se, così a naso, chi raccoglierà i frutti delle difficoltà della Lega sarà ancora Meloni: occhio alle regionali in Lombardia). Ma intanto i primi tre mesi di Salvini da ministro delle Infrastrutture sono stati praticamente perfetti. Meno felpe, più cantieri. Per la Lega non sarà forse il massimo, ma per l’Italia sì.