Meloni ridisegna in casa i servizi segreti. Continuità con Draghi. È alta tensione nel governo

Valerio Valentini

I vertici dell'intelligence restano tutti, nonostante il cambio del governo. Ma la rimozione dei due vicedirettori dell'Aise conferma un metodo e una strategia. Il metodo è quello del quadrilatero: la premier, sua sorella, Lollobrigida e Fazzolari. E tutti gli altri consultati ma poi tenuti all'oscuro. La strategia è quella del "quieta non movere": e a Palazzo Chigi si pensa a Cingolani come ad di Leonardo

Ha ascoltato tutti, ha deciso da sola. Com’è nel suo stile, certo. E chissà allora se a indisporre i molti altri, gli auditi e poi ignorati, interrogati e quindi messi di fronte al fatto compiuto, c’è che stavolta la materia era più delicata del solito o che più semplicemente, rispetto al solito, Giorgia Meloni aveva dato l’impressione di voler coinvolgere, di lasciarsi suggerire. Per settimane ha girato con la sua agendina: ha fatto consultazioni con gli alleati di governo e con gli addetti ai lavori, e ha preso appunti. Collegialità, finalmente? Macché. Al dunque, anche sui servizi segreti, a vincere è stato il partito di casa Meloni. E il colmo è che, per un esecutivo che rivendica il primato della politica,  che predica le virtù dello spoils system, la stella polare è stata, di nuovo, la continuità.

Perché, pure in questa storia, c’è un metodo e c’è una strategia che si confermano: il melonismo di governo passa anche da qui. Il metodo consiste nel conciliabolo formato famiglia, nucleo minimo ed essenziale di ogni processo decisionale, quadrilatero impenetrabile a qualsiasi intrusione, fortezza in cui ogni obiezione viene respinta come un tentativo d’assalto. C’è la premier, e ci sta. C’è sua sorella Arianna, consigliera immancabile, sempre più presente, e con lei c’è ovviamente suo marito, che è anche ministro e capo delegazione, insomma l’ubiquo Francesco Lollobrigida. E c’è, unico ospite fisso in questa tavolata di congiunti, Giovanbattista Fazzolari, affetto stabile.  Perfino Alfredo Mantovano, che pure ha la delega all’intelligence e la esercita con scrupolo, nelle ore più importanti, quelle delle scelte irrevocabili, è rimasto tagliato fuori. Matteo Salvini e Antonio Tajani sono stati avvertiti mercoledì mattina, a cose fatte. Ai diretti interessati, cioè i due vicedirettori dell’Aise, la notizia del loro siluramento è stata comunicata poco dopo, nel giorno stesso della scadenza del loro mandato, dopo settimane di  silenzi.

E però, se la decisione ha generato malumori anche negli interna corporis  di FdI è perché, al di là del metodo, c’è una strategia. Adolfo Urso e Guido Crosetto, che da sempre sono i titolari del dossier, alla vigilia dell’avventura del governo, raccomandavano la necessità di un certo rinnovamento nei servizi. Non il machete, certo, che in questi apparati è sconsigliabile l’irruenza. Ma un riassetto, ecco, questo sì. Che sembrava dovesse passare per l’avvicendamento di almeno uno dei tre vertici dell’intelligence. Che non toccasse a Mario Parente, però, cedere il passo, s’è capito subito, a dispetto di un mandato assai longevo: a capo dell’Aisi, il servizio segreto interno, lo volle Matteo Renzi, nel 2014. Un’èra politica fa. E l’Aise? Certo, anche Giovanni Caravelli, quando fu riconfermato da Mario Draghi per altri quattro anni, dopo i quattro già svolti a capo dell’Agenzia e i sei da vice, ricevette alcune critiche dai sovranisti. La sua rimozione in corso d’opera pareva un affronto, ma c’era chi la suggeriva. E invece, al dunque, è successo l’opposto. E’ successo, cioè, che a essere rimossi sono stati i suoi due vice. E se Carlo Massagli, ammiraglio tarantino, già consigliere militare di Conte, era ormai in età pensionabile, per Luigi Della Volpe, generale della Guardia di Finanza  ancora in ascesa, il mancato rinnovo è stato una mezza sorpresa.

E del resto, anche i nuovi scelti dicono qualcosa degli equilibri che si vanno definendo. Carlo Zontilli, generale dell’Esercito come Caravelli, come Caravelli già ai vertici dell’artiglieria contraerea, sembra insomma l’erede che il direttore ha designato in vista della sua scadenza nel 2026. L’altro è Nicola Boeri, filiera dalemiana e poi lettiana, che in quella fumosa lottizzazione che investe  l’intelligence,   prende la casella concessa all’opposizione; ma che, soprattutto, ha ricevuto la benedizione fondamentale di Elisabetta Belloni, la capa del Dis. Il che, dunque, ribadisce il rapporto assai solido che s’è andato creando, e non da oggi, tra la premier e l’ambasciatrice che guida Piazza Dante. Preludio a una prosecuzione di Belloni nel suo mandato.

E insomma  il governo che rivendica d’essere il primo totus politicus dopo lustri di guazzabugli bipartisan, l’esecutivo che celebra la supremazia dell’Idea sul maneggiare del potere, al dunque, nei gangli fondamentali della Repubblica, persegue una rassicurante continuità. E se davvero, come sembra, l’ipotesi di una proroga ad hoc del mandato di Giuseppe Zafarana alla guida della Guardia di Finanza è contemplata da un pezzo di governo, questa strategia della prudenza potrebbe perfino diventare clamorosa. Anche perché, nel frattempo, nel quadrilatero di casa Meloni si va rafforzando l’idea che come ad di Leonardo, a primavera, vada nominato Roberto Cingolani, il più draghiano dei ministri a cui la premier si è già affidata come consulente, e di cui non vuole fare a meno, anche a costo di dirottarlo, eventualmente, su Enel. E poi Ernesto Ruffini all’Agenzia delle entrate, e poi Alessandra Dal Verme all’Agenzia del demanio: tutte riconferme eccellenti. C’è il Quirinale che vigila, ovvio. C’è l’ansia di voler rassicurare quei mondi sempre demonizzati negli anni  dell’opposizione. Ma c’è, forse, anche la consapevolezza, da parte del ristretto cerchio ammesso al sancta sanctorum di Donna Giorgia, che proprio affidandosi a chi c’è già si evita di aprire complicate guerre di successione tra alleati e ministri. Tanto, alla fine, decide sempre lei.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.