Giorgia contro Giorgia
Le richieste del governo Meloni all'Ue sono la negazione del programma del governo Meloni in Italia
Palazzo Chigi invoca più digitalizzazione dei servizi, dopo aver combattuto contro il Pos e lo Spid; vuole aiuti di stato non indiscriminati, ma insegue la nazionalizzazione della rete unica; insiste per l'unione fiscale e bancaria, ma sabota il Mes. Il dossier italiano in vista del Consiglio europeo confuta anni di propaganda e cento giorni di agenda dell'esecutivo
Non occorre neppure tornare alle basi, rievocare le astrusità del passato recente: evidenziare, cioè, come oggi Giorgia Meloni invochi quale modello da replicare quegli strumenti, tipo il Recovery Fund e lo Sure, che all’epoca della loro approvazione vennero a dir poco snobbati dalla leader di FdI. Basta in realtà analizzare le scelte fatte, o rinviate, dall’esecutivo patriota in questi primi 100 giorni di governo per capire come le richieste che l’Italia rivolge all’Ue sono, di fatto, una puntuale confutazione del programma di governo. Della serie: siccome i problemi da affrontare sono seri, vi chiediamo di fare il contrario di quel che noi abbiamo fatto finora.
E’ un po’ questo il senso del non-paper che l’Italia ha elaborato in vista del Consiglio europeo del 9 febbraio. Sei pagine in cui vengono fissate delle possibili misure comunitarie per far rispondere all’Inflation reduction act di Joe Biden. Ebbene, tra le linee d’azione che Roma suggerisce a Bruxelles, c’è questa: “La legislazione dell’Ue dovrebbe supportare una diffusa promozione dei servizi digitali sia nel settore pubblico sia nel privato”. E sorprende che lo scriva un governo che due mesi fa ha ingaggiato, proprio con Bruxelles, una battaglia contro il Pos e che vagheggia la limitazione dei servizi digitali della Pa, come lo Spid.
Poco più avanti, ecco l’istanza di una politica sugli aiuti di stato che “deve essere proporzionata, basata su evidenze e mirata”. Il perché di questa pretesa è chiaro: bisogna scongiurare il rischio che un’eccessiva liberalizzazione degli aiuti di stato avvantaggi la Germania. Perciò, dunque, nel non-paper si fa appello a Bruxelles affinché “ci si assicuri di evitare sussidi generici e indiscriminati”. Il che, però, stride con un’agenda di governo che non rinuncia all’idea di nazionalizzare di fatto la rete unica con un’operazione che a Bruxelles viene da sempre stigmatizzata. E del resto, finora, Meloni non ha ancora rinnegato anni di lotte contro le normative “troppo stringenti” dell’Ue sugli aiuti di stato, quando era lei a chiedere soldi pubblici a pioggia per Alitalia, per Almaviva, per le banche decotte.
Quanto alla “discussione sul futuro della governance economica europea”, poi, questa “deve indirizzarsi verso il pezzo mancante dell’Unione economica e monetaria: la creazione di una capacità fiscale centrale”. Debito comune, insomma. Se non fosse che la richiesta di velocizzare riforme ancora controverse sa di paradossale se ad avanzarla è chi, come l’Italia, blocca invece una riforma su cui c’è unanimità, come il Mes. Ancor più paradossale, poi, se la riforma in questione, sabotata dalla sola Meloni in spregio a 19 partner europei, andrebbe a comporre quel “pezzo mancante” a cui si riferisce il dossier italiano, e cioè l’unione bancaria.
Del resto, che proposte costruttive all’Ue, da parte di Palazzo Chigi, non possano che arrivare che dalla negazione metodica di tutta la propaganda sovranista vecchia e nuova, lo dimostra il fatto che il governo italiano, nell’indicare “un meccanismo di successo a cui trarre ispirazione” nell’elaborazione del nuovo fondo industriale europeo, spieghi che il Next Generation Eu “ha già dimostrato che rivolgersi al mercato per finanziare programmi europei è non solo fattibile, ma pure efficiente”. Ed è forse il caso di ricordare che, nelle stesse ore in cui la Commissione varava quel “meccanismo di successo”, nel maggio del 2020, Meloni invocava piuttosto di rivolgersi al Fondo monetario internazionale per vedersi concesso, in modo assai improbabile, i Diritti speciali di prelievo, comunemente pensati per i paesi del terzo mondo, così da non essere “alla mercé dell’asse franco-tedesco”. E speriamo che né Scholz né Macron se lo ricordino.