Sfratto a Via Veneto
Urso e Pichetto bisticciano. E il dipartimento Energia resta senza uffici e va in smart working
Una transizione lunga due anni. Le resistenze dei dirigenti. Le lenetezze del titolare dell'Ambiente e le rivendicazioni del ministro dello Sviluppo che reclamava più deleghe per sé. Poi, il pasticcio. Cento funzionari senza una stanza e improvvisamente il lavoro in delocalizzato. Il tutto, mentre il governo disucte del piano energetico e del RePowerEu
Questione di spazi, certo. E ristrutturazioni, e scatoloni. Tutto vero. Ma se un intero dipartimento, quello dell’Energia, finisce da un giorno all’altro al lavoro da casa forzato, e senza preavviso, e se questo peraltro succede proprio nelle settimane in cui il governo è affannato a definire le nuove strategie energetiche del paese in vista del dibattito europeo sul RePowerEu, come dimostra il vertice di ieri a Palazzo Chigi, allora vuol dire che oltre alle perverse contorsioni della burocrazia romana, oltre alle complicanze della logistica, c’è poi una questione più preoccupante, e riguarda la collaborazione tra due rappresentanti dell’esecutivo. E cioè Adolfo Urso e Gilberto Pichetto. Che, certo, non sono mai stati legati da un grande concordia, questo era noto. Ma che insomma le gazzarre tra i rispettivi staff si arrampicassero fin lassù, al settimo piano di Palazzo Piacentini, non era prevedibile.
Alla base c’è infatti una stramba coincidenza di trasferimenti obbligati. Perché il palazzo di Via Sallustiana, quello che ospita la direzione generale per il Mercato e la concorrenza, va ristrutturato. E per farlo, bisogna sgomberarne intere ali. Al che Urso, titolare dello Sviluppo, ha pensato bene di ospitare quelle decine di funzionari nella casa madre di via Veneto: e siccome gli unici posti che poteva riservargli erano al settimo piano, li ha indirizzati lì. Sennonché quegli spazi solo virtualmente erano vuoti: ché il dipartimento Energia, sia pure incardinato ormai presso il ministero dell’Ambiente, e da due anni, è tuttavia sempre rimasto lì, nel prestigioso palazzo d’età razionalista, nel viale che fu della Dolce Vita.
E qui ovviamente si entra nei paradossi della politica italiana: che nel tentativo di semplificare quasi sempre finisce con l’ingarbugliare, e nell’ansia di accelerare s’impantana nei veti delle molte burocrazie. E insomma quel grande piano di ridefinizione delle competenze avviato con l’arrivo del governo Draghi – quell’idea di potenziare il ministero dell’Ambiente assegnandogli anche, tra gli altri, le strutture e le prerogative del dipartimento Energia – ora che il governo Draghi è stato archiviato, e che quello Meloni è nel pieno del suo vitalismo, ecco a distanza di due anni esatti, quel piano è ancora là, sospeso sui malumori e le resistenze dei notabili ministeriali e le confliggenti ambizioni dei partiti di governo. E così, non sapendo come risolvere la faccenda, e per evitare che il trasloco sempre rimandato si risolvesse in uno sfratto, Pichetto Fratin, il ministro azzurro alle prese pure lui con il rinnovo di alcuni locali nel quartier generale sulla Cristoforo Colombo, pochi giorni fa ha inviato una comunicazione urgente alle circa cento persone del dipartimento Energia per annunciare lo smart working generalizzato, con effetto immediato e con durata da stabilirsi (e che comunque si spera non si prolunghi per più di un mese o due). Il tutto, mentre i funzionari sono indaffarati nella definizione del nuovo Piano nazionale dell’Energia, con le ricadute che questo ha anche nella partita europea del RePowerEu. Il tutto, poi, mentre l’esecutivo si dice impegnato a voler ridurre i tassi di lavoro delocalizzato nella Pa senza un previo meccanismo di valutazione della produttività.
Fin qui, comunque, la mera cronaca burocratica. Poi c’è la politica, con le sue logiche e le sue velleità: le stesse che d’altronde hanno portato, in questa patetica ansia propagandistica, a ribattezzare il Mise in Mims, esaltando dunque il sovranistissimo “made in Italy”, e di conseguenza a trasformare il Mite, il ministero per la Transizione ambientale, in Mase, consacrandolo dunque alla più patriottica “sicurezza energetica”. E dunque se si è arrivati a una soluzione certo non scandalosa, ma quantomeno bizzarra, è anche perché quella necessaria collaborazione tra colleghi di governo che ci si sarebbe attesi è venuta meno, visto peraltro che l’avvio dei lavori di ristrutturazione in Via Sallustiana erano stati fissati per dicembre 2022 da molto tempo.
E certo, Urso aveva le sue ragioni a sbuffare di fronte alle resistenze esibite di chi, nel dipartimento Energia, coglieva ogni occasione per rinviare il trasferimento, anche in virtù della cattiva fama di cui gode il palazzaccio sulla Colombo di Pichetto, lontano dall’epicentro della politica capitolina. Di lì le sollecitazioni, il comprensibile fastidio per una grana ereditata. E però è anche vero che poi, a un certo punto, anche questa faccenda del trasloco è rientrata in una baruffa più delicata: quella che ha visto il ministro meloniano desideroso di riprendersi le deleghe all’Energia nel frattempo assegnate a Pichetto. E che, quando ha capito che l’istanza era stata respinta, allora non ha esitato a pretendere che il suo settimo piano venisse sgomberato.
E insomma ce ne sarebbe abbastanza. E invece non basta ancora. Perché questo trasloco confuso avviene nel momento in cui Pichetto ridefinisce anche i vertici del suo ministero. E proprio il dipartimento Energia, nell’apprendere le nuove condizioni di smart working, ha saputo anche il nome del suo nuovo direttore generale, e cioè quel Federico Boschi, ex dirigente di Arera, persona di grande competenza, finito però subito travolto dai pettegolezzi ministeriali per via dei suoi legami famigliari con chi, in Eni, gestisce i rapporti regolatori del mercato.