Riflessi pavloviani
La Stampa va alla guerra con Fazzolari ma finisce per spararsi sui piedi
Dopo aver svelato il fascistissimo piano per trasformare le nostre pacifiche scuole in incubatori della brigata Azov, le difese di Giannini al suo quotidiano si arrampicano sempre più sugli specchi. Di concreto, resta solo il grido d’allarme contro il piglio militaresco delle “destre”
Al terzo giorno di pistolettate a salve succede l’inevitabile. E cioè che il glorioso quotidiano che ha svelato il fascistissimo piano per trasformare le nostre pacifiche scuole in incubatori della brigata Azov si è sparato sui piedi. Il primo giorno il titolo di prima pagina era “Fazzolari: insegniamo a sparare nelle scuole”. Il secondo giorno, a schivare la lettera del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, di smentita della “ricostruzione favolistica” della Stampa, il direttore Massimo Giannini si faceva Rodomonte: “Con temerario sprezzo del pericolo il sottosegretario Fazzolari ‘spara’ letteralmente la palla in tribuna, per smentire ciò che non è smontabile”. Ovvero “la sua idea di portare nelle scuole corsi di tiro a segno con le armi”. Dice Giannini che “l’articolo del nostro Ilario Lombardo, che confermiamo parola per parola, è inattaccabile e di fonte sicura al cento per cento”. Quello che c’entra, “invece, è la nota e antica passione per le armi di Fazzolari. Così forte da volerla insegnare anche agli studenti in classe, tra le pedagogiche ‘umiliazioni’ auspicate dal ministro dell’Istruzione e le salvifiche lezioni sul ‘Dante di destra’”. I due accostamenti, nella vicenda, non c’entrano un beato nulla, e risultano di una pochezza risibile. Su questo sorvolando, resta però da dire che la “fonte sicura al cento per cento” dell’articolo “inattaccabile” è al momento l’udito del giornalista medesimo, a cui si oppongono le smentite di Fazzolari e del generale Federici: non proprio una pistola fumante. Nella stessa pagina Lombardo ribadiva la sua versione. Ma, come si dovrebbe sapere nei giornali, una notizia data due volte equivale a una smentita.
E siamo al terzo giorno, in cui a dire la loro e a ristabilire i fatti e le ragioni ci sono il presidente della Federazione italiana tiro a Volo (Fitav) e della Federazione internazionale degli sport di tiro, Luciano Rossi, e il delegato Fitav pugliese Cosimo Moretto (“se vuoi, puoi fare male anche con una racchetta da tennis”) e il presidente di Assoarmieri, Antonio Bana. Così, sotto il titolo “Armi in orario di scuola, progetto sperimentale in otto regioni dal 2018”, l’ardito cronista Niccolò Carratelli viene spedito in missione per coprire la ritirata strategica. Già il giorno precedente la Stampa aveva riportato che un progetto per l’addestramento alla pratica del tiro d’arma era stato avanzato nel 2008 dal ministro dell’Istruzione Beppe Fioroni, non proprio Attila, e poi cassato. Ma la notizia vera, ieri, è che il presunto sanguinario progetto di Fazzolari è in realtà una tranquilla sperimentazione già in atto nelle scuole dal 2018: con la benedizione del premier Giuseppe Conte, oggi impegnato nelle imitazioni di Gandhi. Le scuole di ben otto regioni infatti “aderiscono al Progetto CA.RE. (“Cultura, Autocontrollo, Regole, Emozioni”, ndr) avviato dalla Federazione italiana tiro a volo e finanziato dall’Agenzia sport e salute in cui azionista unico è il ministero dell’Economia. Insomma il progetto Fazzolari è già stato attuato dal governo giallo-verde. Solo che gli attuali irreprensibili mastini da guardia del disarmo democratico non se n’erano accorti. O forse bastava la presenza di Conte a garantire la tenuta della pace e della democrazia. A coprire la dimenticanza, la Stampa prova a girarla su Salvini, “l’unico che continua a precisare la sua contrarietà”. Scrive arguto il giornale: “Forse sarà interessato (Salvini, ndr) a sapere che, a prescindere dalle eventuali mosse di Fazzolari, ci sono già centinaia di studenti, in varie regioni italiane, che sperimentalo l’uso dell’arma durante le ore scolastiche”.
E qui davvero il salto della frittata rasenta il ridicolo. Ma come, dovrebbe essere Salvini “interessato a sapere?”. Quelli che dovrebbero essere non solo “interessati a sapere”, ma che proprio avrebbero dovuto saperlo prima, sono la pattuglia acrobatica della Stampa. Ma ora, fosse anche che la pistola fumante venga fuori – l’audio rubato, il video, la cittadina con il padre con la colite in visita a Palazzo Chigi che s’insospettisce –, e trovarla a questo punto sembra essere l’unica via d’uscita, resta l’essenza della cosa in sé: la non congruenza e la ridotta dimensione dell’affaire Fazzolari in sé. Ed è qui, al terzo giorno, che il quotidiano torinese finisce per spararla in tribuna, come dice il direttore. Di concreto, resta solo il pavloviano riflesso d’allarme contro il piglio militaresco delle “destre”. L’iconografia immaginaria di generazioni educate al pacifismo sulle Sturmtruppen di Bonvi genera, in automatico, fantasmi spaventosi in cui le classi felici dei bambini che si danno la mano vengono trasformate nella caserma del sergente Hartman di Full Metal Jacket. Ma Carratelli, fedele al comando ricevuto, insiste: “Non ditelo a Salvini”. Spararsi nei piedi.