Il profilo

La Kissinger di Meloni. Ritratto di Patrizia Scurti, da segretaria semplice a segretaria di stato

Carmelo Caruso

Da Fini a Meloni. La scalata della "padrona" della premier. Incontra presidenti, domina a Palazzo Chigi, costruisce l'agenda. Nessun profilo social, nessuna informazione. E' l'ombra

In America il più famoso è stato Henry Kissinger, in Italia la prima è Patrizia Scurti. E’ la “segretaria di stato”, nell’accezione italiana, il tuttofare, il “tranquilla, me la spiccio io”. E’ davvero la segretaria, ma di Giorgia Meloni. A Palazzo Chigi è inquadrata come capo della segreteria particolare. Ha partecipato agli incontri riservati tra la premier Joe Biden e Xi Jinping. Olaf Scholz le ha stretto la mano. Al G20 di Bali accarezzava  la piccola Ginevra. Sua è la stanza più solenne del governo, quella che affaccia su Piazza Colonna. Il compagno è un agente di polizia mentre lei è la “pulizia”, la serenità della premier che ringrazia  “Dio, e Gianfranco Fini, per aver messo Patrizia al mio fianco. E’ il mio rifugio, la mia protezione”.


Anche il potere ha una sua planimetria. Henry Kissinger, segretario di stato con Nixon e Ford, autore di libri sontuosi, ha raccontato che la forza e l’autorevolezza del potere si misurano in centimetri: quelli che separano la stanza di un collaboratore dal presidente. Quando Giorgia Meloni è entrata per la prima volta a Palazzo Chigi, una donna di cui non si conosce la data di nascita, il luogo di nascita (manca il cv sul sito del governo) si è rivolta ai funzionari dicendo che lei si sarebbe occupata della disposizione delle stanze. Quella donna è Patrizia Scurti, e dal 2006, come scrive Meloni, nell’autobiografia è la sua, “padrona” e lo “dico spesso scherzando, perché non c’è nulla della mia vita che non passi da lei”.

 

Raccontano che quello stesso giorno, la “Kissinger di Meloni” abbia ordinato a tutti i collaboratori che lavoravano con Giuseppe Conte, e che erano rimasti con Mario Draghi, di sgomberare. Alcuni di loro si sono sentiti dire: “Valuteremo e nel caso sarete ricontattati”. Tutti quelli che siamo riusciti a contattare hanno cambiato lavoro. Non c’è nessun sopruso ma solo l’applicazione di una legge antica: “Ti conosco, mi fido, vieni a lavorare con me”.

 

Uno dei pochi che hanno superato questa selezione naturale è il vice capo ufficio stampa di Meloni, Fabrizio Alfano, già portavoce di Fini e figlio di Franco Alfano, il giornalista che ha dato per primo, su un emittente locale, la notizia dell’uccisione di Aldo Moro. E’ oramai chiaro che tutte le vere competenze del governo Meloni, i saggi, non sono che le leve della stagione Fini. Scurti, la segretaria che oggi costruisce l’agenda della premier e che ascolta le parole del presidente degli Stati Uniti, ha lavorato con Rita Marino, la storica segretaria dell’ex leader di An, temuta e venerata dai parlamentari della destra.

 

Si possono scrivere libri e libri su segretarie e politica. Il più famoso è Antonio Tatò di Berlinguer. Vincenza Enea era l’ombra di Andreotti e “Marinella” (Brambilla) di Silvio Berlusconi. Matteo Renzi aveva chiamato da Firenze il suo “Franchino” Bellucci mentre Mario Monti aveva “Betty” Olivi. Con Draghi la segretaria era un cognome “la Ciorra” (Mariagrazia). Solo alla Scurti è riuscito l’inedito della Repubblica: elevarsi da segretaria, la dattilografa dello scrittore Elio Pagliarani, a capo di gabinetto, madre, sorella, consigliera, ambasciatrice, ministra. In latino segretaria è secretum. Oggi guadagna 179.999 euro. Manca solo un euro per arrivare a 180 mila.

 

Ogni volta che un giornalista si avvicina a Meloni, Scurti preme il tasto del registratore per avere l’audio di quanto dichiarato. Potrebbe essere una futura prova. Nel 2006 viene “affidata” da Fini a Meloni, vicepresidente della Camera a soli 29 anni e lo ricorda la stessa premier: “Pensavo mi avesse appioppato un caso umano”. L’uomo che in realtà scopre il suo talento è Donato La Morte, ex deputato di An, che è stato a sua volta il Kissinger di Almirante. Non si inventa nulla. Quanto si virgoletta lo ha dichiarato la premier: “Mi piace pensare che Patrizia mi consideri un po’ come sua figlia. In un mondo nel quale tutti pensano a cosa io possa fare per loro, Patrizia pensa sempre a cosa lei possa fare per me”.

 

Pochi giorni fa Meloni ha incontrato il presidente etiope e una volta salita sul podio si è accorta di non avere il paper diplomatico. Il microfono è aperto: “Per favore Patrizia, la cartellina diplomatica”. Nel gruppo parlamentare di FdI risultava essere direttore amministrativo. Non ha profili social (magari fosse il metodo del governo!). Non esiste nulla di lei, se non le sue fotografie durante le cerimonie, le parate, sempre vicinissima a Meloni. Sul suo profilo Whatsapp tiene l’immagine di lei abbracciata con Meloni vestita da cappuccetto blu. E’ definita l’artificiere che “disinnesca” la dinamite d’Italia, gli scervellati di FdI, i marinettiani. Rappresenta per Meloni quello che Étienne de La Boétie era per Montaigne, l’amico perfetto: “Se mi si chiede perché l’amo non posso esprimermi se non rispondendo: ‘perché lui è lui’; ‘perché io sono io’. Ciascuno si dava al proprio amico, tanto intensamente che non gli restava nulla da spartire con gli altri”.

Di più su questi argomenti:
  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio