L'antagonista

Fratelli di Conte. Meloni lo incorona "unico rivale", lo cerca per Rai ma lo teme sulla politica estera

Carmelo Caruso

Con la scomparsa del Pd, il leader del M5s è l'oppositore unico della premier. Diversi ma simili nelle battaglie, l'avvocato del popolo diventa centrale sui dossier Rai e semipresidenzialismo

Sono come nel tango l’hombre y mujer. Giuseppe Conte, che conduce la danza dell’opposizione, dice che la premier “è incoerente ma non inadeguata”. Meloni, che è la mujer, pensa invece che Conte “è il nostro vero avversario, l’unico che può fare ombra al governo”. Meloni e Conte si sono sposati “premier e rivale” finché “Pd non si separi”. Si scambiano messaggi al telefono, sempre di cortesia istituzionale, e come i tangueri si lanciano occhiate su TikTok dove misurano la popolarità che è la loro bevanda, il loro matè.  I social media manager della premier sono infatti allarmati. Nel corso dell’ultima conferenza stampa di Meloni,   a Bruxelles, si sono moltiplicati i commenti social e la richiesta comune  era di non spedire ulteriori armi all’Ucraina. E’ la posizione di Conte che per Meloni non è più “il pazzo irresponsabile”, l’ex premier della “deriva liberticida”, ma  il fratellastro d’Italia, l’opposto necessario perché “lui è oggi quello che ero io ieri”.


Due come nel ballo, nel tennis, nella scherma, nel pugilato. Ogni potente ha bisogno di un antagonista. Meloni ha scelto Conte. La premier è infatti binaria. Ha due vicepremier, due sottosegretari alla presidenza e durante la campagna elettorale ha cercato, e accettato, il duello con Letta. E’ dell’idea che in politica servono due grandi blocchi opposti. Venuta meno la leadership del segretario del Pd, Conte rappresenta per Meloni, e lo ha confidato, “il riferimento dell’area di sinistra e non potrà che attrarre ulteriori consensi. Il Pd avrà bisogno di tempo per rigenerarsi”. L’invio di ulteriori armi all’Ucraina è un argomento sensibile che li separa e avvicina. Ogni volta che ne parla, Meloni ribadisce che l’Italia sta al fianco del presidente Zelensky ma aggiunge “a nessuno di noi fa piacere che questa guerra si protragga”. Conte ha già anticipato ai suoi parlamentari che nei prossimi mesi “bisogna spiegare che il M5s non è per una pace astratta. Ogni volta che intervenite deve essere chiaro che c’è un aggredito e un aggressore. E’ una premessa necessaria”.

 

I rapporti tra Conte e Meloni sono diretti, non c’è nessun intermediario. E infatti si inseguono proprio come nelle milonghe, le sale da ballo del tango. A Napoli, che è la nostra Buenos Aires, ogni volta che Conte va in visita si mette la rosa (bianca) in bocca, che è quella della pace, e come nei film di Ken Loach invoca il pane del Reddito di cittadinanza che Meloni toglierà. A Bruxelles, Meloni ricorda invece che solo lei non ha fatto il casquè all’Europa, la prima a fare dell’immigrazione una grande questione internazionale salvo essere ripresa dall’inarrivabile David Carretta: “Presidente già anni fa, le leggo le conclusioni del Consiglio europeo del 2018, si stabilisce che l’immigrazione è una sfida per l’Europa tutta”. Nel 2018 presidente era Conte e si dice che offra oggi a Meloni lezioni, non richieste, di diplomazia: “Con la Merkel ho vinto non perché urlavo ma perché ci parlavo”. E’ come nell’enigmistica. Ci sono analogie e differenze tra M5s e FdI.

 

Uguale è la diffidenza con la stampa, uguale è il giustizialismo (sul 41-bis FdI e M5s sono allineati) uguale è il loro giornale di riferimento. A far saltare la nomina di Giuseppe Valentino, il membro scelto da FdI per il Csm, è stato un vecchio articolo del Fatto quotidiano ripescato. I senatori di FdI si giustificavano con “non possiamo farci attaccare dal Fatto”. Sul caso Donzelli-Delmastro la linea da tenere era quella del Fatto. Molti deputati di FdI ripetevano come nastri passaggi interi di articoli de Il Fatto ostili al Pd. Uguale è la loro vicinanza con la magistratura. FdI invidia i magistrati che Conte è riuscito a candidare. M5s ha ottimi rapporti con i parlamentari di FdI Alberto Balboni, Ciro Maschio, Tommaso Foti. Un coordinatore di FdI regionale, quello del Friuli Venezia Giulia, è l’ex M5s, Walter Rizzetto, un altro nome di peso è Salvatore Caiata, anche lui ex 5s. Nelle prossime settimane Meloni avrà bisogno di Conte. Le serve infatti il voto di Alessandro Di Majo (membro M5s) nel cda Rai per sfiduciare l’ad Carlo Fuortes, e Conte ha sempre pensato che la Rai vada riformata perché “è una nostra battaglia” tanto da dichiarare, dopo Sanremo, che “sulla Rai serve una riflessione”.

 

Meloni può favorire l’assegnazione della presidenza della Commissione di Vigilanza Rai per i 5s Riccardo Ricciardi o Alessandra Todde (ma potrebbe essere la sorpresa di Conte e candidarla per le regionali in Sardegna). Conte, a sua volta, potrebbe non mettersi di traverso e studiare attentamente la proposta di semipresidenzialismo dato che lui è stato il “primo a ragionare di sfiducia costruttiva e di governi stabili”. Prima delle elezioni, a differenza del Pd, Conte non ha agitato il fantasma del nuovo fascismo, diceva anzi: “Meloni è legittimata a governare, ma lo deve sapere fare”. Non ha urlato contro il “machete” malgrado il M5s abbia, e davvero, perso Marcello Minenna, direttore delle Dogane, figura vicinissima a Conte. Presto perderà pure il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ma sarà Conte a farsene carico e candidarlo alle prossime elezioni europee come capolista al sud.

 

Alle prese con un incolore Pd, Meloni non è impensierita neppure da una vittoria alle primarie di Bonaccini (lo sfidante che reputa di maggiore spessore) ma dal fratellastro d’Italia. Ucraina, Superbonus, accise … E’ Conte il gaucho, la spalla da mordere, come nel ballo, ma anche da tenere stretto. Per Meloni è la biforcazione, nient’altro che il sentiero che per Borges conteneva insieme “il divergente, il convergente e il parallelo”.

 

 

Di più su questi argomenti:
  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio