Lapresse

Una volta qui era tutta sinistra

La vittoria di Majorino a Milano apre una riflessione sulla “tendenza Ztl” del Pd

Dario Di Vico

Il conflitto città-contado è una tendenza ormai straconsolidata che riguarda quasi tutte le elezioni dei paesi occidentali. In questa polarizzazione la possibile nomina a segretario dem di Stefano Bonaccini è un'incognita

Il dato che ha più sorpreso delle elezioni regionali in Lombardia è stato il primato di Pierfrancesco Majorino sulla piazza di Milano, in netta contraddizione con la scoppola rimediata in regione. Per il resto avrei quotato qualche punto in più per Letizia Moratti ma la vittoria del candidato del centrodestra, qualunque fosse stato il suo nome, era scontata. La sorpresa milanese di Majorino è tale anche per il posizionamento politico del candidato Pd: decisamente gauchista rispetto a figure come Beppe Sala o Pierfrancesco Maran, che in città avevano già fatto il pieno di rielezioni o di preferenze nel recente passato. Un piccolo segnale lo si poteva rintracciare nella partecipazione ai dibattiti sulle elezioni lombarde organizzati in città dalla Fondazione Feltrinelli (uno dei pochissimi appuntamenti pubblici di una campagna elettorale indolore): a sentire Attilio Fontana c’erano 25 persone contate, ad ascoltare Majorino circa 200.

 

Ma si può obiettare ovviamente che la Feltrinelli non è la tazza da tè dei leghisti e quindi la sproporzione delle sedie occupate si giustifica anche così. La sorpresa di cui parlavo rilancia però la riflessione sul tema del conflitto città-contado, una tendenza ormai straconsolidata che riguarda quasi tutte le elezioni dei paesi occidentali, compresa persino la piccola Croazia. Le distanze tra la città globale e il resto del paese connotano non solo Milano, e ovviamente Parigi e Londra, ma sono una costante che vale anche per Istanbul che non rappresenta, a giudizio di molti, la Turchia profonda. A parziale correzione del caso italiano c’è però da ricordare la babele dei sistemi elettorali per cui nelle comunali il centro-sinistra incapace di coalizzarsi al primo turno riesce a prevalere grazie al ballottaggio che alle regionali e alle politiche non c’è. Fatta la somma algebrica di tutte queste considerazioni resta però la voragine socio-antropologica tra città e campagna.

 

Nella città la politica conta poco, è decisamente più rilevante la modernità o il cosmopolitismo, pacchetti di idee/valori sicuramente più attrattivi. Hanno un alfabeto largo, ci parlano di meravigliosi viaggi da calendarizzare per conoscere il mondo, ci suggeriscono i film da vedere e i libri da leggere, ci propongono uno stile di vita che prevede alcune piccole varianti al suo interno e addirittura producono i tic lessicali del momento. La definirei un’antropologia della sfida ancor più dell’innovazione, la vita è competizione con se stessi – prima che con gli altri – per allargare gli orizzonti, per sapere di più, per essere al passo delle tendenze. 

 

Dentro questa cornice il cosmopolitismo propone come ingredienti decisivi la diversity e la contaminazione. Prendiamo il cibo, fattore identitario della nostra epoca. A Milano esiste un ristorante nepalese e via Sarpi è ormai un formicaio di italiani che arrivano nella Chinatown milanese per mangiare ravioli, baozi, i mooncake di Hong Kong e assaggiare la cucina di Taiwan. La comunità degli studenti stranieri che frequentano le università ambrosiane ha superato la prova Covid e si sta di nuovo allargando per numero di paesi coinvolti e proporzioni. Per la somma di tutte queste dinamiche, a cui la politica è totalmente estranea, la città entra in un girone tutto suo di comparazione e di stimoli versus le metropoli sorelle. Milano si specchia con Parigi o Londra, Bologna con Milano. Ognuna ha la sua scala, si scelgono i parametri e i benchmark.

 

Ma a questo punto le domande diventano: che c’entra il Pd? perché volente o nolente intercetta queste tendenze? Intanto per omogeneità sociologica. I moderni e gli elettori dem sono assai simili per estrazione sociale, per livello di istruzione (con la sorpresa Istat che segnala come Bologna ha in proporzione più laureati residenti di Milano), ma in realtà è il rapporto “rispettoso” che ha con la modernità che favorisce l’abbinamento. Niente di più. Non c’è l’egemonia del partito sui ceti metropolitani più innovatori ma è il contrario. Si è creata così l’osmosi che viene sintetizzata nel termine “partito della Ztl” ma sarebbe sbagliato catalogarlo come puro snobismo. È un’antropologia separata, un distacco dal destino di un paese considerato in declino irreversibile. È un’ideologia cosmos. Però se i moderni di un tempo – e penso al Pri, al Psi di Mondoperaio o ai professori del Mulino – erano capaci di allargare la loro sfera di influenza, di produrre intuizioni profonde e farsi magistero, oggi tutto questo nella versione Pd non c’è più. Anche perché è assai difficile che nei percorsi di crescita e poi di carriera di un giovane cosmos rientri l’esperienza politica al posto del culto della ricerca scientifica o del trasferimento in un’università straniera.

 

Sull’altro versante la campagna ha un rapporto con la modernità assai più contrastato. Il colesterolo in città è considerato come il diavolo, in provincia è un compagno di bagordi (da qui la frase-ritornello “di qualcosa bisogna pure morire”). Un’altra differenza tipica è il rapporto con l’automobile: in città non è necessario possederla, in provincia non solo serve ma regala al conducente status e identità. L’innovazione che piace nel contado non è distruzione creatrice ma assomiglia al vecchio refrain democristiano del “progresso senza avventure”. Continuità più che discontinuità. E in fondo l’imprinting Dc è visibilissimo in Luca Zaia ma è anche l’obiettivo da raggiungere per Giorgia Meloni. La politica nel contado è ancora un elemento di promozione sociale, la si fa spesso occupandosi di temi limitrofi alle proprie attività civili e in questa maniera si copre anche in parte il deficit di competenze necessarie per amministrare. Gli assessori leghisti della prima generazione hanno fatto scuola in materia e la loro provenienza era prevalentemente di due tipi: una Pmi o una professione del piccolo terziario per le imprese. Anche per questi motivi il centrodestra risente meno dei suoi avversari della crisi di vocazioni, pescando nel mezzo della gerarchia del sapere ha minori problemi di ingaggio e di fascinazione.

 

Ora in questa polarizzazione città-campagna e Pd-destra, è probabile che faccia il suo debutto nazionale Stefano Bonaccini da Campogalliano, occhiali a goccia e scarpe a punta. I risultati delle primarie per quanto riguarda i circoli una cosa, al di là dei numeri provvisori, l’han detta: Elly Schlein sembra interpretare gli interessi e gli umori della sinistra Ztl molto più del suo rivale. Pare riprodurre il terribile incastro tra vecchio establishment dem e composizione sociale prevalentemente urbana. Bonaccini pare invece essere riuscito a esportare il modello della deep Emilia anche nel resto d’Italia. Al netto di tutte le altre considerazioni più esplicitamente politiciste sulla leadership sarà una variante antropologica da monitorare.