Miti da difendere
Il governo deve trovare una terza via su Superbonus ed elettrico
L’automobile e la casa sono i due grandi simboli su cui si è costruito il benessere italiano. La politica vive di grandi narrazioni, prima che della ricerca di soluzioni pragmatiche: Giorgia Meloni deve trovarne di nuove
I due grandi miti su cui si è costruito il benessere italiano sono l’automobile e la casa. Sgasare e possedere: tutti mobili nella vetturetta e tutti immobili nel capitale sicuro del real estate. Federico Fubini nel Corriere l’altroieri ci insegnava, detto senz’ombra di ironia, che il declino della nostra produttività sui competitori tedeschi e francesi deriva dalla incapacità di intercettare in tempo la rivoluzione digitale incipiente negli anni Ottanta, che sulla conversione energetica verso l’elettrico ci sono piccoli e grandi esempi di quanto stiamo facendo e possiamo fare in termini di innovazione, vendendo in tutto il mondo i nostri prodigi, che il campo dell’export è quello decisivo, che il piano europeo di spesa dovremmo attuarlo puntando sopra tutto su questo, innovazione ed esportazione con i privati che disintermediano lo stato, senza indulgere a stupide e malinconiche lacrime di rimpianto sui motori termici, sui vecchi diesel e sulla propulsione a benzina. Il tipo è bene informato, non si può dargli torto o prenderlo sottogamba. Vero anche il dato contabile che ammazza il Superbonus e mette nei guai seri molte famiglie e imprese già motore di crescita, perché il manuale Eurostat non ci autorizza a spalmare il debito come prevedevamo, in quanto l’orgia del credito facile a carico del pubblico è considerata più o meno come un’emissione di moneta sonante, a debito naturalmente e incasellabile solo sull’anno corrente, il fatale 2023.
Tutto vero, tutto previsto nell’agenda Draghi, liberale keynesiano preoccupato di certi sgorbi legislativi, la cui opera si compie con il governo fascista-liberale e austerizzante eletto tre mesi fa. Tutto vero, che c’è da dire? C’è da dire che, malgrado la battaglia pedagogica di Calenda, convinto che la politica è preparazione & soluzione pragmatica delle cose, e chi non lo capisce anche tra gli elettori è un fesso che vota per moda o per appartenenza (ci andrei piano nel consegnare moda e identità, due forze tremendamente moderne e postmoderne, tutte insieme all’avversario), la politica deve tenere conto dei miti, quelle favole molto più vere del vero, in certi casi; come il mito della Carbon tax che, aumentata di poco, portò la Francia sull’orlo della guerra civile e, alla fine, ha destabilizzato ben bene i governi e le maggioranze o ex maggioranze di Macron, anche lui un liberal-keynesiano, pur andando piuttosto bene le cose, viste le statistiche, nell’economia esagonale ora travolta dal mito della liberazione dal lavoro e della pensione un po’ baby da conservare.
Tornando al benessere italiano d’antan e di oggi, visto antropologicamente e non solo tecnologicamente o contabilmente, sembra ovvio pensare che saranno guai se l’Europa, che torna attenta agli aiuti di stato sotto l’incalzare dei superbonus americani, sarà identificata come la longa manus dietro a governi e parlamenti nazionali che alla fine se la prendono con l’automobile e la casa. Il ministro Giorgetti non difetta in sicurezza di sé, sebbene dicano che sia un timido, e ieri ha sigillato il decreto anticredito con una delle sue frasi storiche: è un rimedio a politiche scellerate del passato che hanno fatto pesare un debito di duemila euro oggi su ciascun contribuente. In passato, poco prima della pandemia e dei suoi effetti territoriali oltre che mondiali, aveva affermato con sicurezza che dei medici di famiglia, bè, potevamo farne a meno. Ci andrei piano, pianissimo. L’Italia non è la Norvegia, con il suo novanta per cento già elettrico, e l’esplosione della locomotiva edilizia, con tutto l’analfabetismo legislativo che volete, con tutti gli errori e le truffe relative, non fa male alla sua economia, è stata anzi il presupposto della buona performance ancora in corso. Saranno statisticamente pochi condomini e villette in gara per il superincentivo pazzo, ma per una volta il vecchio e sapiente adagio di Longanesi, che siamo forti nelle inaugurazioni e deboli nella manutenzione, è stato smentito. La realtà percepita, di là dalle cifre sul debito, ci dice che il paese ha cambiato ritmo con il Superbonus, che qualcosa è successo nella dinamica economica, qualcosa di serio, e interrompere bruscamente il ciclo avviato, con un rimedio senza rimedio, può essere esiziale. Prendete un circolo, diceva Eugène Ionesco forse pensando al circolo virtuoso della contabilità, coccolatelo, diventerà vizioso.
Sono pallide considerazioni di un non-economista, minimo decrittatore della mitologia italiana di sempre, ma tu destabilizza le quattro ruote e incappotta ecologicamente la casa con obblighi eco-costosi, mentre chiudi il credito all’incentivo magico del centodieci per cento, ecco che hai fatto un tiro mancino all’insieme dell’economia e della politica, salvo certo il bisogno di trasparenza contabile e di innovazione tecnica, salvo il fatto che con il debito non si scherza. Fossi Meloni, troverei il modo di fare un’altra retromarcia, nel senso di scovare una soluzione concreta per chi dovrà forse chiudere bottega e perdere un sacco di soldi previsti in bilancio, certo non a tutti i costi ma prevedendo un costo sostenibile con qualche ideuzza; fossi un Bonaccini, mi incatenerei a Mirafiori o a Maranello per dire che l’elettrico va benone, ma con tempi e modi che non distruggano uno dei due miti fondanti del boom e del dopoboom.