Prospettive dem
Il fantasma Corbyn sulla deriva del Pd tendenza Schlein
I diritti sono decisivi, ma non producono una forza di governo. Perché servono un laburismo serio e una socialdemocrazia che metta el movimiento al servizio del suo potenziale sbocco politico
Quando penso a Schlein, Bettini, Provenzano, Orlando, cioè ai capi della sinistra sociale del Pd, la sinistra Manu Chao che le gusta el movimiento, che vuole il riscatto dei povericristi e il rogo delle impostazioni liberalriformiste in economia, non posso evitare di pensare, sine ira ac studio, a Jeremy Corbyn.
Lo hanno cacciato in malo modo dal Partito laburista britannico dopo che per cinque anni era stato il suo leader indiscusso e aveva anche ottenuto a un certo punto una clamorosa performance-rimonta elettorale sui conservatori di Theresa May. Il suo successore e boia, Keir Starmer, ha detto perentoriamente che la stagione della demagogia laburista di sinistra, neoclassista, la crociata dei molti diseredati contro i pochi privilegiati, non tornerà “mai più”. Corbyn crollò alle elezioni in cui fu Boris Johnson a trionfare, nel 2020, e la sua colpa maggiore è stata di far apparire come un rottame inanimato il ritorno alla lotta di classe e la campagna contro ricchezza e privilegio, dopo Tony Blair e la sua infilata di vittorie centriste, cool, liberali e atlantiche, e dopo che Blair era stato dannato, messo al rogo, come nuovo ricco e traditore del pacifismo e del popolo lavoratore (il caso Renzi è la nostra variante).
Corbyn non ha proprio tutti i torti quando accusa di posizioni “grandemente esagerate” chi lo ha sospeso dal partito e gli promette esclusione dalla candidatura dopo 40 anni di presenza parlamentare. Molestie varie e antisemitismo sono stati i capi di imputazione e i cavalli di battaglia contro di lui. Era un casinaro, certo, e si è comportato con colpevole ambiguità verso la lobby antisemita. Come ha detto bene Starmer, i suoi cedimenti all’antisemitismo sono tipici di coloro che si considerano ideologicamente “antirazzisti” (abbacinante paradosso dell’ideologia intesa come falsa coscienza). I roghi non sono mai uno spettacolo confortante, certo, ma è saggio tenere sempre presente il carico di sapienza contenuto nell’adagio vae victis, guai ai vinti. C’è però una lezione che va oltre la contesa identitaria, tutta giocata sulla sopravvivenza del Labour Party come forza di governo e di maggioranza (con Starmer sono venti punti sopra i conservatori, oggi), una lezione che forse riguarda anche il Pd e le sue primarie lente, riflessive, poco rock.
In astratto niente di male che l’area principale dell’opposizione di sinistra, diciamo così, si configuri con un partito neoliberale e riformista sul modello, tutto da vedere se carico di futuro, viste le bizze dei suoi titolari Renzi e Calenda, e un Pd all’ingrosso laburista o socialdemocratico. Bisogna però vedere di che laburismo o socialdemocrazia si tratti.
Intanto c’è la questione dei diritti come piattaforma che tutto ingloba e mette in palchetto le posizioni identitarie delle minoranze. I diritti sono decisivi, ovvio. Bisogna battersi per preservarli con rispetto per tutte le posizioni. Ma non sono una piattaforma programmatica generale, non producono una forza di governo, rischiano di prendere facciate anche se in competizione con una versione povera di Dio patria e famiglia sovranisti, più o meno. Inoltre possono essere veicolo ideologico correttista di molte nequizie, esclusivismi, intolleranze culturali e politiche incrociate. Schlein mi sembra il ritratto perfetto di questa deriva.
Un laburismo serio, e questo è il secondo aspetto, si costruisce come realistica rappresentanza di un blocco sociale ampio, radicata in rivendicazioni compatibili con il sistema economico-sociale in cui viviamo, bisognoso di riforme e riconsiderazioni ma senza apprezzabili alternative. Socialdemocrazia, termine usurato ma non sepolto dalla storia europea, vuol dire calibrare interessi e valori, salari lavoro e ecologia verde-ambientalista, trovare un equilibrio di vantaggio per una maggioranza potenziale di cittadini e di elettori, mettere el movimiento al servizio del suo potenziale sbocco politico.
A questo appuntamento, a meno che Bonaccini non ci faccia la sorpresa Starmer, cioè una modesta impresa di ricostruzione del profilo laburista dell’opposizione, senza perdere il contatto con il riformismo di tono liberale che è sembrato sequestrare tutta l’identità del Pd cosiddetto “elitario”, pare che i democratici siano in un certo ritardo e che i movimentisti della sinistra sociale non abbiano alcuna intenzione di presentarsi.