Passeggiate romane
Le tre incognite sulle primarie del Pd (a prescindere dal vincitore)
Tra Bonaccini e Schlein il divario è minimo. E visto il livello di tensione tra i due schieramenti una leadership con una maggioranza così risicata difficilmente potrebbe governare agilmente il partito
Nazareno, abbiamo un problema. Già, i dati delle elezioni dei circoli lasciano intendere che le prospettive del Partito democratico non siano troppo rosee. Ma elenchiamo i problemi che si affacciano all’orizzonte del Pd dopo il voto degli iscritti.
Primo, l’affluenza. Al Nazareno avevano posto l’asticella su un milione di elettori ai gazebo. Adesso quell’asticella si sta abbassando. Basterebbero 800 mila elettori per dire che le primarie dem non sono state un flop. Certo, rispetto ai numeri di un tempo non c’è paragone, ma la verità è che il Pd non tira più come un tempo e la scarsa affluenza potrebbe essere la prima conseguenza di questo dato di fatto.
Secondo. Il risultato delle primarie potrebbe rovesciare il risultato del voto dei militanti per la prima volta nella storia del Partito democratico. Finora non è avvenuto perché mai come adesso lo scontro è stato vero e senza esclusione di colpi. Inoltre la macchina centrale del partito che un tempo era governata da qualcuno, si pensi alla Ditta all’epoca dell’unico altro scontro dall’esito non scontato, o quanto meno non preordinato a tavolino, cioè quello tra Pier Luigi Bersani e Dario Franceschini. In quelle primarie l’apparato dell’ex Pci governava la situazione con grande padronanza. Che cosa accadrebbe, dunque, se Elly Schlein battesse Stefano Bonaccini alle urne? Come minimo il Partito democratico dovrebbe rivedere questo complesso meccanismo di elezione del segretario che con un risultato del genere sancirebbe il fatto che il voto degli iscritti vale poco se non nulla. E che l’ex vicepresidente della Regione Emilia-Romagna possa farcela lo dicono due fattori: in termini di voti assoluti il divario tra lei e Bonaccini è tutt’altro che insormontabile, in più Schlein nelle grandi città vince e, come si sa, è nelle grandi città che il voto di opinione si esprime nei gazebo.
Terzo. Sì perché c’è un ulteriore problema. Per come si sono messe le cose infatti chiunque avrà la meglio nei gazebo difficilmente potrà vincere con percentuali oltre il 60 per cento. Più facile che i due contendenti si assestino con un vincitore (o vincitrice) al 55 per cento e uno sconfitto (o sconfitta) al 45. Un risultato del genere restituirebbe l’immagine di un partito diviso a metà. E visto il livello di tensione tra i due schieramenti una leadership con una maggioranza così risicata difficilmente potrebbe governare agilmente il partito. Senza contare che un risultato del genere aprirebbe le porte a una scissione in un futuro non troppo lontano. Per evitare una simile prospettiva Bonaccini ha fatto sapere a Schlein che in caso di vittoria le offrirebbe la presidenza del gruppo parlamentare della camera dei deputati (sul modello Bersani-Franceschini) ma la leader di Occupy Pd ha già rifiutato quell’offerta.
Tutti o quasi danno per imminente il divorzio tra Matteo Renzi e Carlo Calenda. Certo, dire che tra i due scorra buon sangue è una menzogna, ma l’eventuale divorzio dipenderà soltanto dal leader di Azione. Matteo Renzi, infatti, punta a tenere unito il Terzo polo perché prima di dire addio a questo esperimento intende passare per il banco di prova delle elezioni europee che, a suo avviso, sono molto importanti non soltanto per i riflessi europei ma anche per quelli italiani.