Il profilo
Un liberale a Chigi. Ritratto di Mario Sechi, la nuovavoce di Giorgia Meloni
E' pronto a occupare la caselle di capo uffico stampa del governo. La passione per l'America e Londra, gli inizi, le attese di FdI che lo paragona a un quasi ministro
Bacco, tabacco e Sechi. Si chiama Mario, ed è l’altro Sechi del giornalismo: i sigari uniti alle opinioni. Fuma il toscano (come lo scrittore Gianni Brera, il Gioân) è sardo, nato a Cabras, ed è il vino pregiato, il Cannonau, selezionato da Giorgia Meloni. Viene infatti indicato “nuovavoce” della premier, capo ufficio stampa di Palazzo Chigi, cancelliere degli esteri e quasi capo di gabinetto. Ha un quarto di Paolo Buonaiuti, lo storico portavoce di Berlusconi, un quarto di Gianni Letta, il sottosegretario di Berlusconi, un altro quarto di Renato Ruggiero, il ministro degli Esteri che Gianni Agnelli suggerì a Berlusconi. L’ultimo quarto è puro distillato Sechi, ex direttore dell’Unione Sarda, del Tempo, oggi di Agi, un liberale a Chigi. Eugenio Scalfari andava in via Veneto, lui la sera va all’hotel Locarno.
E’ in pratica il “paziente inglese”, ma nell’accezione latina, colui che sa sopportare e dunque ricoverare la comunicazione di Meloni. Colleziona i libri di George Steiner e le bretelle come Winston Churchill, ama i cocktail “ma mai prima delle 18”. A Sechi manca solo la bombetta per essere un sir. La sua Itaca è Londra. Ha studiato alla Singularity University, visitato il Pentagono, la Nasa. Come Meloni lo abbia convinto a lasciare la direzione dell’Agi (va in aspettativa) è materia di analisi tra i giornalisti. Per Forza Italia “verrà candidato alle prossime elezioni politiche”. La Lega vuole sapere ora chi prenderà il suo posto dato che Agi è l’agenzia stampa di Eni, partecipata dove per Salvini “serve un cambio di passo così come in Enel”.
In FdI c’è preoccupazione: “Non sarà solo un capo ufficio stampa. Ha un rapporto privilegiato con i conservatori americani, con i think tank. Uno così è un quasi ministro”. Ma come è fatto “uno così”? Prima di lui solo un altro ex direttore, e sempre del Tempo, ha accettato di lavorare con un premier. Era Gianni Letta e ha fatto la fortuna di Berlusconi. Il Cav. (la figlia Marina glielo ha dichiarato) voleva Sechi alla guida del Giornale. A Panorama è stato vicedirettore ma si annoiava perché aveva troppo tempo libero. Rifiutò la guida del settimanale Economy perché non tollerava le paperelle di Segrate, sede del settimanale e di Mondadori, così come non le sopportava il poeta Vittorio Sereni (una sera inciampò e cadde nel laghetto. Il giorno dopo decise di lasciare Milano perché “qui non nascerà mai un verso”).
Sechi è figlio di un elettrotecnico e di una casalinga. Venne scoperto da Vittorio Feltri all’Indipendente grazie a un articolo su Renato Curcio e lanciato da Maurizio Belpietro. Era senza dubbio povero. Un giovane collega gli chiese se davvero, da trentenne, dormisse sui treni perché senza alloggio. Rispose che era vero che dormisse sui treni, ma perché faceva la spola tra Milano e Piacenza (dove gli affitti costavano meno). Il solito Feltri negli anni Novanta lo mandò a Genova per fargli chiudere la redazione locale del Giornale. Sechi riuscì a fare concorrenza a Mario Sconcerti, direttore del Secolo XIX, che canzonava. Si era inventato l’editorialista Mario Sconcertina, la sua parodia. La redazione rimase aperta per molti anni.
Al Giornale divideva la stanza con Gian Marco Chiocci, direttore di Adnkronos, che ritroverà presto come direttore del Tg1 (è stato il primo nome a cui Meloni aveva pensato per guidare la sua comunicazione) e Luca Telese. Sechi è amico di Lucia Annunziata, come lo è di Paolo Savona, altro sardo corsaro, ed è amico di Descalzi, ad di Eni quanto di Claudio Granata, capo del personale Eni. La sinistra lo apprezza perché ha il garbo della vecchia destra di D’Azeglio. La destra lo invidia perché piace alla sinistra.
Ancora oggi la destra (ma quale?) non dimentica la sua candidatura con Mario Monti ma non ricorda che, dopo la mancata elezione, Sechi perdette tutto. Si inventò la prima newsletter quando sembrava un passatempo per disoccupati. Ogni mattina, a Radio 24, spiegava l’economia (si serviva del Faust di Goethe) insieme a Pietrangelo Buttafuoco e Giovanni Minoli. Vennero mandati via, malgrado il programma fosse il più ascoltato nei podcast, perché erano fuori da ogni obbedienza, una piantagione di intelligenza. Oggi la tabacchiera di Sechi può diventare, e sul serio, la tabacchiera di governo, quella che Manzoni accarezzava per nebulizzare il chiacchiericcio, la scatola magica degli “uomini calmi che ascoltano per poi parlare”.