L'intervista

"Cara Meloni, serve una riflessione sull'Ucraina: siamo ostaggi della propaganda bellicista". Parla il leghista Romeo

Valerio Valentini

Nel giorno del viaggio della premier a Kyiv, il capogruppo del Carroccio al Senato chiede una revisione della linea. "Ma quali caccia e missili? Passiamo alle armi della diplomazia, piuttosto. Putin? Sbaglia. ma anche Zelensky esagera"

A un certo punto, viene spontaneo segnalargli il rischio: non è che Giorgia Meloni s’arrabbia? “E perché mai dovrebbe?”. Be’, ma come: lei è lì a Kyiv a ribadire il sostegno indefesso dell’Italia all’Ucraina, e voi qui a contraddirla? “Ma non è così, infatti”, dice Massimiliano Romeo. “Nessuno critica il viaggio della premier, che è anzi opportuno perché la nostra linea atlantista nessuno osa metterla in discussione”. E però? “E però,  mi sento di rivolgere al presidente del Consiglio lo stesso suggerimento che ho dispensato ai miei colleghi qui al Senato: bisogna evitare di finire ostaggi della propaganda bellicista”.

Al che  Romeo, capogruppo della Lega a Palazzo Madama, mentre ordina un caffè alla buvette, scorre le agenzie che riportano le dichiarazioni di Vladimir Putin. Le sue minacce all’occidente. I suoi  spropositi sul ricorso alle armi atomiche. “Nessuno contesta il sostegno all’Ucraina, ci mancherebbe. Ma qui mi pare si stia perdendo il senso della misura: sento discutere seriamente a proposito dell’invio di cacciabombardieri e di missili a lunga gittata, e proprio pochi giorni dopo un vertice in cui i ministri della Difesa della Nato  hanno invitato tutti a calibrare con attenzione le prossime mosse. Cedere sistemi d’arma così potenti significherebbe un salto di livello, e in questa escalation il rischio di un incidente che poi trascini tutti in un conflitto ben più grave di quello, già terribile, in atto, si fa concreto. Quando si parla di guerra, e c’è di mezzo un arsenale nucleare, è bene ricordarci, tutti, che il pericolo di non poter tornare indietro non è da sottovalutare”.

Insomma  occorre disimpegnarci, come Italia, rispetto alla coalizione occidentale? “Non dico questo. Ma l’Italia, in questa coalizione, dovrebbe provare a portare semmai un valore aggiunto. Che è quello, secondo la nostra tradizione, di favorire il dialogo. Anche Giorgia  Meloni ha una straordinaria opportunità: in quanto donna, può sfruttare un sovrappiù di sensibilità umanitaria. Quello del mediatore, del resto, è il ruolo storico che spesso l’Italia ha saputo giocare: saper dare un colpo al cerchio e uno alla botte”. 

Tra cerchio e botte, c’è un invasore e un invaso. Un aggressore e un aggredito. Uno che bombarda e uno che si difende. “Ma nessuno, guardate, potrà fare in modo che Putin sfugga alle sue responsabilità storiche. Ma anche illudersi di deporlo, di rimuoverlo, è velleitario. E sono concetti che io m’incarico di ripetere sperando che si esca da questa logica perversa per cui chiunque sollevi una qualche obiezione rispetto alla strategia bellicista in corso è un filoputiniano”.

Romeo, va detto, da questa responsabilità non s’è mai sottratto. “I miei interventi in Aula, come capogruppo della Lega, sono agli atti”. E tutti, a cadenza regolare, per invitare, come dice lui, “a cercare vie alternative a quella della guerra a oltranza”. Interventi, peraltro, che Matteo Salvini non ha mai ritenuto di dover stigmatizzare? “Evidentemente no”. Dunque il pensiero del vicepremier e leader della Lega è lo stesso di Romeo? “Questo dovete chiederlo a Matteo. Non mi permetterei di fare il suo interprete. Io dico solo che nessuno mi ha mai rimproverato per le mie dichiarazioni”.

Sta di fatto che le  posizioni della Lega, così come quelle di Berlusconi, appaiono costantemente in conflitto con la linea iperatlantista di Meloni. Prima o poi questa contraddizione bisognerà scioglierla? “Se qualcuno spera in una crisi di governo, resterà deluso. Io però suggerisco, questo sì, di aprire una riflessione. Nella maggioranza, certo, ma coinvolgendo anche l’opposizione, e magari la società civile, le categorie. L’opinione pubblica è stanca, estenuata, spaventata. Va ascoltata. D’altronde anche Meloni parla ora  di impegno sulla ricostruzione dell’Ucraina: ecco, quella sì che deve essere una sfida che ci vede in prima linea. Quando perfino il capo di stato americano arriva ad avvertire che nessuno può pensare di vincere sul campo, mi meraviglio di come ci sia, qui da noi, qualcuno che invece invochi il trionfo militare contro la Russia, l’umiliazione del Cremlino”.

Se una trattativa può aprirsi, non dovrebbe essere Putin a fermare i bombardamenti, anziché minacciare scenari atomici? “Putin sbaglia, non c’è dubbio. Ma è anche vero che dall’altra parte c’è uno, e cioè Zelensky, che fa proclami di vittoria”. Non è in fondo per quello, che ci stiamo impegnando: per far vincere le ragioni dell’Ucraina contro la brutalità della Russia? “Ci stiamo impegnando, e spero lo si continui a fare, per sostenere la resistenza dell’Ucraina, la sua difesa. Non per favorire il contrattacco. Leggo che la Cina avanzerà una proposta per aprire un negoziato: ne vedremo i contenuti. Intanto, mi piacerebbe che anche la comunità internazionale occidentale, la Nato, l’Europa, avanzassero un loro piano in tal senso. Bisogna abbandonare la propaganda delle armi e puntare sulle armi della diplomazia”. Ed è qui che il colloquio s’interrompe. La conferenza stampa di Meloni da Kyiv sta per iniziare.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.