Il commento
Fratelli d'italia? No, di Draghi, ispiratore della leadership meloniana
Ucraina, Superbonus, Reddito di cittadinanza, codice degli appalti, price cap, concorrenza, rigassificatori, riforma fiscale. Rileggere l’ultimo discorso dell'ex premier al Senato per capire la draghizzazione di Giorgia Meloni
Fratelli d’Italia o Fratelli di Draghi? Sono passati due anni dal primo voto di fiducia ottenuto da Mario Draghi alla Camera dei deputati e due anni dopo l’ex governatore della Banca centrale europea non avrà potuto fare a meno di notare una circostanza che più passa il tempo più diventa curiosa. E la circostanza è questa: il leader politico più vicino, più sensibile e più in sintonia con l’agenda politica squadernata da Draghi durante il suo anno e mezzo a Palazzo Chigi è l’unico, anzi l’unica, che durante la scorsa legislatura non ha mai votato la fiducia all’ex presidente del Consiglio.
Avrete già capito dove vogliamo arrivare ma il dato è ormai così eclatante che merita di essere inquadrato con diligenza. La draghizzazione di Giorgia Meloni, e la continuità con il governo precedente di un esecutivo che doveva nascere per essere discontinuo con il precedente, è ormai un fatto alla luce del sole che può essere illuminato con un piccolo sforzo di memoria. Andando cioè a ripescare l’ultimo discorso fatto da Mario Draghi in Parlamento. Era il 20 luglio del 2022, Draghi si presentò al Senato per cercare un nuovo voto di fiducia dopo aver presentato le dimissioni. E poco prima di prendere atto che le condizioni per andare avanti non vi erano, offrì ai senatori alcune indicazioni sulle necessarie coordinate da seguire per l’Italia futura.
Mario Draghi disse che l’Italia ha bisogno di un governo capace di muoversi con efficacia e tempestività su alcuni fronti precisi. Primo tema: la continuità sul Piano nazionale di ripresa e resilienza, “che è un’occasione unica per migliorare la nostra crescita di lungo periodo” (e Meloni finora il Pnrr lo ha implementato, non sabotato). Secondo tema: la riforma del codice degli appalti pubblici, “che intende assicurare la realizzazione in tempi rapidi delle opere pubbliche e il rafforzamento degli strumenti di lotta alla corruzione” (riforma approvata e promossa dal ministro Salvini). Terzo tema: “la riforma della concorrenza, che serve a promuovere la crescita, ridurre le rendite, favorire gli investimenti e l’occupazione” (a dicembre, il governo Meloni ha confermato, rendendola leggermente più rigorosa, la bozza della legge sulla concorrenza presentata da Draghi a luglio).
Quarto tema: la riforma del fisco, “finalizzata a ridurre le aliquote Irpef a partire dai redditi medio-bassi, superare l’Irap e razionalizzare l’Iva” (è la stessa impostazione del governo Meloni, che alla riforma lavora sull’asse Maurizio Leo-Ernesto Ruffini, confermato da Meloni all’Agenzia delle entrate). Quinto tema: “Accelerare l’installazione dei rigassificatori a Piombino e a Ravenna” (nonostante il sindaco di Piombino sia di Fratelli d’Italia, la linea Meloni è uguale alla linea Draghi). Sesto tema: mantenere “la nostra posizione chiara e forte nel cuore dell’Unione europea, del G7, della Nato” (super continuità). Settimo tema: ricordare che “armare l’Ucraina è il solo modo per permettere agli ucraini di difendersi” e “continuare con le sanzioni contro il paese invasore” (super continuità anche qui).
Ottavo tema: “Continuare a batterci per ottenere un tetto al prezzo del gas russo, di cui beneficeremmo tutti, e per la riforma del mercato elettrico, che può cominciare da quello domestico, anche prima di accordi europei” (battaglia iniziata in Europa da Draghi, terminata dal governo Meloni utilizzando come consulente l’ex ministro della Transizione di Draghi: Roberto Cingolani). Nono tema: ricordare che “il Reddito di cittadinanza è una cosa buona, ma se non funziona è una cosa cattiva” (Draghi forse non avrebbe mai osato cambiare il Rdc come sta provando a fare Meloni). Decimo tema: avere in testa che “il problema non è il Superbonus, ma sono i meccanismi di cessione che sono stati disegnati, e chi ha disegnato quei meccanismi di cessione, senza discrimine e senza discernimento, è lui il colpevole di questa situazione, in cui migliaia di imprese stanno aspettando i crediti” (anche qui continuità).
Per uno strano scherzo del destino, dunque, sette mesi dopo l’ultimo discorso pubblico di Mario Draghi oggi, incredibilmente, chi esprime continuità nette verso quelle politiche si trova più tra i banchi dei partiti che Draghi non l’hanno mai sostenuto che tra quelli che lo hanno sostenuto (e lo stesso vale anche per alcuni importanti dossier di politica industriale, dove Meloni è riuscita a fare quel che a Draghi non è riuscito: pensate a Ita, pensate a Ilva, pensate a Priolo, pensate al percorso della rete unica). Sull’Ucraina, lo avete visto, la Lega borbotta, Forza Italia sbuffa, il M5s si ribella, il Pd si divide. Sul Reddito di cittadinanza, stessa storia: l’agenda del Pd sembra essere più vicina all’agenda Conte che all’agenda Draghi. Sul Superbonus uguale.
È una cifra interessante della leadership meloniana l’essere riuscita a conquistare il centrodestra facendo leva non sulla discontinuità con il governo passato ma sulla discontinuità con la propria storia. Ma è una cifra interessante, questa, anche per una ragione che riguarda l’opposizione e che riguarda la difficoltà enorme incontrata in questi mesi dagli avversari di Meloni, che sui grandi temi riescono a rimproverare la leader del governo solo per essere in contraddizione con il suo programma elettorale, cosa che tra l’altro agli elettori dei partiti che avversano Meloni non può che fare piacere. Lunga vita ai Fratelli di Draghi!