la maggioranza
Non solo l'Ucraina. Giustizia, economia, nomine: così Meloni rischia di finire nella morsa di Salvini e Berlusconi
Sulla guerra ci saranno scantonamenti, ma non strappi. Invece sul Superbonus la tensione è già alta, e su separazione delle carriere e falso in bilancio FdI può solo rinviare. Sulle partecipate di stato in scadenza, poi, Lega e Forza Italia invocano cambiamento. Segnali di ostilità verso Palazzo Chigi
L’idea che sia davvero strategia, e non solo tattica, in FdI la scacciano come si fa con le zanzare. “Giorgia, andando a Kyiv, ha fatto una mossa da grande leader internazionale. Anche se è chiaro che, sul piano interno, la scelta di sostenere l’Ucraina non paga”. Luca Ciriani, ministro meloniano per i Rapporti col Parlamento, i movimenti di Lega e FI li legge alla luce della convenienza elettorale. Le parole del Cav. su Zelensky; il mezzo avvertimento di Massimiliano Romeo, capogruppo del Carroccio al Senato, affinché si abbandoni “la propaganda bellicista”. “Berlusconi è un animale politico, fiuta gli umori dell’opinione pubblica. E la Lega lo segue per non lasciare il fronte pacifista in mano a Conte”. Eccolo evocato, il fu Giuseppi. In questa polemica si muove con disinvoltura. Fino al punto di stanare, quasi, Salvini e Berlusconi: “Indurre Meloni a seguire la via diplomatica? Parliamone in Parlamento”.
E quasi si frega le mani, il presidente del M5s, alla buvette di Montecitorio, immaginando una indicibile convergenza in Aula col Cav. e Salvini: “Sarebbe un fronte del buonsenso. Quello di chi ritiene che non si possa supinamente seguire la linea bellicista della Nato. Quello di chi crede che nessuno, neppure quello Zelensky che continua a chiedere armi e sostegno, possa arrogarsi il diritto di proporsi come unico depositario delle richieste di pace”. La convergenza non ci sarà, in effetti. E non perché, un po’ dovunque nel centrodestra, non siano diffusi questi sentimenti. Perfino i parlamentari di FdI, sempre fedeli al verbo di Donna Giorgia in pubblico, in privato ti mostrano i commenti che, sempre più copiosi, arrivano sotto i loro post: “Tutti contro l’invio di armi”. Però, al netto d’inciampi non previsti, l’incidente non ci sarà. “Perché sulla politica estera bisogna marciare compatti, sennò s’indebolisce il paese”, come hanno raccomandato alle truppe i capigruppo Licia Ronzulli e Alessandro Cattaneo, raccomandando cautela e continenza. Lo stesso scrupolo che ha indotto Antonio Tajani, che pure sulle prime aveva ceduto a un accesso di stizza, alquanto piccata, a scegliere toni più felpati nella replica a Manfred Weber, dopo lo sfregio del Ppe al patriarca di Arcore. Quanto a Salvini, di Ucraina semplicemente non parla.
Poi, però, c’è tutto il resto. Ed è qui, nel garbuglio parlamentare quotidiano, che una corrispondenza di interessi tra Lega e FI può prendere sostanza. “La minoranza di blocco”: a Via della Scrofa la chiamavano così, ai tempi della composizione del governo, quando si volle non a caso tenere Ronzulli fuori dal Cdm. Solo che il rischio è che se la ritrovino a Palazzo Madama, ora, la stessa dinamica. “La somma di due debolezze non fa una potenza”, se la ride un ministro meloniano. Ma sulla giustizia, ad esempio, l’affanno della maggioranza è reale. “C’è un motivo se Nordio ormai è diventato il ministro del rinvio”, spiega il calendiano Enrico Costa. E giù l’elenco: dall’abuso d’ufficio al traffico d’influenze. Quando i leghisti, giorni fa, sono andati ad avvisare Ciro Maschio che si rischiava la figuraccia sulla separazione delle carriere (“perché voi di FdI siete gli unici a non aver presentato proposte sul tema, e il Terzo polo su questo ci incalza”), il presidente meloniano della commissione Giustizia ha allargato le braccia: il suo mandato è quello di troncare e sopire, e nulla più.
Attendismi non ce ne potranno essere, invece, sul Superbonus. “Ormai usa descrivere noi di FI come quelli che piantano grane”, scuote il capo l’azzurro Roberta Pella. “La verità è che spesso, semplicemente, pur di non riconoscerci la paternità di soluzioni giuste le si bocciano a priori, salvo poi doverle recuperare mesi dopo”. Il riferimento è alla proposta di ricorrere agli F24 per disincagliare i crediti fiscali in pancia alle banche: “Era la via che avevamo suggerito a novembre, sul dl Aiuti quater, ed è quella che si dovrà tornare a percorrere”. Tanto più che da oggi, in commissione Finanze, i deputati di FI avranno “mani libere” per presentare emendamenti e correttivi.
Del resto, ed è una tesi assai in voga anche nel Carroccio, “se per due anni ci siamo sentiti accusare di mollezza e incoerenza da parte di FdI che se ne stava comoda all’opposizione, ora le abiure è bene che se le intestino loro”. E’ valso per i balneari, dove alla fine, per non restare col cerino in mano, a Palazzo Chigi hanno finito con l’assecondare le intemerate degli alleati sul Milleproroghe, a dispetto delle riserve del Quirinale e del conflitto incombente con Bruxelles. “Non era Meloni che faceva ricorso alla Consulta contro la Bolkestein?”. Varrà anche per il Mes, tra qualche settimana. “Mi fido di Giorgia: attendiamo che sia lei a dirci cosa vuole fare”, è il dispaccio fatto circolare da Matteo Salvini. In pochi, nel partito, l’hanno preso come un gesto di cortesia istituzionale.
Sta all’erta, il ministro dei Trasporti. Che si confronta spesso con l’altro vicepremier Tajani. Quando a Palazzo Chigi hanno scelto, nottetempo, il da farsi sui vicedirettori dell’Aise, i due si sono sentiti per confermarsi, a vicenda, il reciproco stupore. Il che, forse, spiega perché anche sulle prossime, di nomine, quelle delle grandi partecipate di stato ormai imminenti, tra FI e Lega un certo coordinamento potrà esserci. Per contenere, quantomeno, lo strapotere patriottico. Con una linea comune: “Cambiare per davvero, altroché continuità”. Vale per Leonardo (dove Meloni punta a Roberto Cingolani), e forse perfino in quella Eni in cui la riconferma di Claudio Desclazi pare scontata. “Ma non si doveva usare il machete?”, si danno di gomito leghisti e forzisti. Che sia tattica o strategia, chissà