Chi vota, chi non vota
Bonaccini o Schlein: le primarie del Pd viste dai giornali di sinistra
Secondo il vicedirettore di Repubblica "bisogna uscire dalla prospettiva dello scontro di potere" mentre per il direttore del Domani il Partito democratico resta in ogni caso "il problema della sinistra". Piccolo giro per le redazioni in attesa del voto
Visto dalle scrivanie dei giornali di centrosinistra, che “creatura” è il congresso pd in fase finale? E come leggerlo oltre i possibili numeri della partecipazione, stimata poco sotto al milione di persone? “Sarebbe comunque qualcosa di enorme, in questo momento di risacca”, dice il vicedirettore di Repubblica Francesco Bei (che voleva andare a votare “come le altre volte”, ma non potrà “per via di un viaggio deciso quando ancora la data del congresso doveva essere un’altra”). “In questi mesi abbiamo accompagnato il congresso ospitando quotidianamente interventi di personalità d’area, oltre cento”, dice Bei, “proprio per uscire dalla prospettiva dello scontro di potere e dare un minimo di profondità strategica al dibattito”. In redazione si è discusso se fare o meno un endorsement per questo o quel candidato, “ma alla fine si è deciso di no. La sensazione era che i nostri lettori fossero equamente distribuiti da una parte e dall’altra. Resta l’impressione di un congresso a bassa temperatura, forse anche perché il segretario uscente ha rinunciato a correre come candidato premier di tutta un’area. Ed è tutto da ricostruire, non c’è neanche più uno schema di alleanza in piedi. Allo stesso tempo il Pd è l’unico grande partito contendibile. Non è poco”.
Dal Manifesto (che domenica, sul suo sito, farà una diretta-tv dopo la chiusura dei gazebo), il direttore Norma Rangeri racconta di aver votato alle primarie due volte: “Per Romano Prodi e per Pierluigi Bersani quando con lo schema del maggioritario si decideva il leader del Pd che era anche il candidato dello schieramento di centrosinistra per palazzo Chigi”. Questa volta invece non voterà: “Tutto è cambiato, si vota il segretario o la segretaria del Pd e non essendo un’elettrice del Pd è una scelta che non mi coinvolge, pur augurandomi una grande partecipazione perché sarebbe comunque un buon segnale politico in questa generale carestia delle urne”. Previsioni? “Penso che molto dipenderà dall’affluenza, più sarà alta più conterà un voto di opinione e più chance avrà la giovane Elly Schlein, viceversa credo che il risultato confermerà il voto degli iscritti”.
Nella redazione del Domani già in autunno si discuteva di utilità o meno di tenerlo in vita, il Pd. “Questa volta un impegno fuori Roma dovrebbe togliermi dall’imbarazzo di decidere se andare o no ai gazebo dopo aver auspicato per mesi lo scioglimento del Pd”, dice il direttore Stefano Feltri. Ma “la diagnosi resta valida: il Pd è diventato il problema della sinistra, troppo piccolo per costruire coalizioni vincenti e troppo grande per lasciar emergere una nuova offerta politica. Nessuno dei due sfidanti sembra poter risolvere i problemi strutturali. Stefano Bonaccini è destinato a consolidare l’evoluzione amministrativa e post-ideologica di un partito che ha la sola identità di essere forza di governo (anche quando è all’opposizione). Elly Schlein non è riuscita a portare davvero nel Pd le istanze dei movimenti radicali, non è Bernie Sanders (che pure ha perso). Anzi, Schlein sta alle idee nuove della sinistra come Sanremo alle trasgressioni di costume: le porta a un pubblico più grande, ma in versione edulcorata, dopo averle rese rassicuranti”. Speranze? “La mia speranza per le primarie”, dice Feltri, “è che chiunque vinca spinga i milioni di elettori delusi a organizzarsi per offrire un’alternativa al Pd. La concorrenza è – o dovrebbe essere – un valore di sinistra”.