Le vie di uscita
Tutti i tormenti di Giorgetti sul Superbonus
I timori delle banche, i problemi di cassa del Tesoro. Perché il pastrocchio dei crediti fiscali è un rebus insolubile per il Mef
Certo, c’è una questione politica. C’è Giuseppe Conte che aizza il settore edile contro il governo, c’è Forza Italia che a cedere non ci pensa. Ma magari fossero solo questi, i problemi di Giancarlo Giorgetti sul Superbonus. “La verità è che si continua a girare intorno alle stesse possibili soluzioni da mesi, le stesse che noi già a novembre avevamo avanzato”, dice Alessandro Cattaneo, capogruppo azzurro alla Camera. “Restiamo fiduciosi che il governo individui la via d’uscita migliore, e a quel punto la percorreremo”. Trovarla, quella via: fosse facile. Per ognuna delle ipotesi valutate per disincagliare i crediti fiscali – 20 miliardi o forse più – c’è una controindicazione. Per ogni svincolo, una trappola. Al punto che perfino una postilla a piè di pagina in una relazione dell’Agenzia delle entrate pare essere un appiglio. Forse.
L’illuminazione è arrivata giovedì, nella commissione Finanze di Montecitorio, durante l’audizione di Ernesto Maria Ruffili. Una noterella a pagina 15 del dossier consegnato dal direttore dell’Agenzia delle entrate è bastata a far gridare all’eureka. Vi si ricorda che, ricorrendo alla procedura di remissione in bonis, una norma del 2012, si potrà consentire a chi ha ultimato le spese edilizie entro il 2022, di comunicare la cessione del suo credito non solo fino alla scadenza fissata dal Milleproroghe, quella di fine marzo, ma anche fino a novembre, con una penale di 250 euro appena. Otto mesi in più (e trenta euro al mese), dunque, per farsi asseverare il credito e venderlo. Non sarebbe poco, se ci fosse davvero qualche indizio che desse sostanza alla speranza di chi aspetta una svolta, sul pastrocchio dei crediti. E qui si arriva ai tormenti di Giorgetti.
Il primo riguarda il suo rapporto con gli istituti di credito. Che bastasse enfatizzare i dati sulla capienza fiscale di banche e assicurazioni, per convincerli a partecipare alla ridda del Superbonus, il ministro ha sempre nutrito seri dubbi, a dispetto del velleitario ottimismo di altri membri del governo. Perché banche che in questi anni non hanno voluto acquistare crediti fiscali quando era conveniente dovrebbero affrettarsi a farlo ora, nel giro di poche settimane, in un quadro normativo incerto e a condizioni meno allettanti? Ci voleva poco, insomma, per rendersi conto che la moral suasion del Mef non avrebbe avuto grande successo. Tanto più, ed è questa l’obiezione che varie banche hanno opposto alle sollecitazioni governative, che a fronte del proliferare delle truffe – 9 miliardi, nel complesso dei vari bonus, quelle certificate dall’Agenzia delle entrate – le banche andrebbero incontro a problemi relativi alle coperture, visto che i revisori dei conti richiederebbero di innalzare i livelli di riserve in via precauzionale. Col vento che tira e l’incremento dei tassi della Bce, non c’è spazio per azzardi.
Il che vale, del resto, anche per l’altra congettura presa in considerazione in queste settimane in Parlamento: quella di utilizzare gli F24 dei clienti per consentire alle imprese di svuotare i propri cassetti fiscali. Premesso che le banche, per partecipare all’operazione, si troverebbero nelle medesime condizioni di mercato, qui qualche rischio lo correrebbe il Tesoro. Perché, qualora davvero gli istituti di credito ammortizzassero sugli F24 il costo dei crediti acquistati, nelle casse dello stato verrebbe a mancare un’ulteriore quota importante di gettito, in un periodo dell’anno in cui la liquidità del Mef è più scarsa. Per questo dunque, molto più che per l’eventuale parere negativo di Eurostat, a Via XX Settembre non sono affatto bendisposti verso questa soluzione, che pure è quella su cui più insistono, fin dall’autunno scorso, Ance e Abi, cioè i costruttori e le banche, le due categorie più coinvolte nella palude del Superbonus.
Si spiega così, allora, la sollecitudine con cui, anche a fronte di un semplice prolungamento dei termini per la comunicazione della cessione dei crediti, i deputati si galvanizzino. Per questo il renziano Mauro Del Barba ha annunciato che quella postilla scritta da Ruffini dovrà diventare, a suo avviso, un emendamento al provvedimento in discussione alla Camera. Lo stesso nel quale, sempre su iniziativa del Terzo polo, si dovrebbe inserire – su proposta comune – una norma che faciliti anche per gli incapienti il ricorso agli F24 come soluzione per sgravarsi dei crediti fiscali detenuti. Ma qui, come in un perverso gioco dell’oca, si ritorna ai problemi di cassa del Tesoro. E insomma Giorgetti assomiglia un po’ al Dante del VI canto dell’Inferno, quello che come si volti e che si giri, trova sempre intorno a sé nuovi tormenti. E sì che Dante non aveva anche un menisco dolorante a dargli noia.