Tim e non solo. Tutti i dossier economici su cui Meloni s'affida a Draghi
L'ipotesi dello scorporo della rete con intervento mirato di Cdp era la sostanza del piano dell'autunno scorso. Accantonato da FdI, ora viene recuperato, insieme ai consigli dell'ex ministro Colao. E poi balneari, Ita, Superbonus: la premier ha deciso che when in trouble, go Draghi
Chiusa? Macché. A Palazzo Chigi nessuno s’illude che davvero la mossa di Cassa depositi e prestiti, quei 18 miliardi messi sul tavolo per acquisire da Tim la rete, valga a risolvere la partita. E anzi, un rilancio da parte del fondo americano Kkr, convinto d’altronde dell’incompatibilità dell’operazione guidata da Cdp con le norme europee, viene considerata molto probabile. Però, al di là degli sviluppi che prenderanno gli eventi, va detto che ci aveva visto giusto chi, tra gli amministratori del dossier, due settimane fa aveva parlato di “gioco dell’oca”: lasciando insomma intendere che l’unica via per andare avanti era tornare indietro, e cioè al progetto che Vittorio Colao e Mario Draghi erano andati definendo l’estate scorsa, prima che tutto precipitasse.
Se poi è vero, come pare, che nelle ultime settimane Mef e Palazzo Chigi non abbiano disdegnato di chiedere qualche suggerimento all’ex ministro della Transizione digitale, si capisce che non è un caso se il mezzo pastrocchio vagheggiato dal patriota Alessio Butti – spingere cioè Cdp a comprare Tim dopo averla spinta a comprare OpenFiber – è stato decisamente obliterato dalla stessa Giorgia Meloni. La quale, del resto, sembra averlo adottato come metodo: When in trouble, go Draghi. Vale per Tim, ma anche per Superbonus e balneari, Ita ed energia: quando i dossier s’ingarbugliano, la premier torna alle ricette del suo predecessore.
La vicenda di Tim, in questo senso, ricorda da vicino quella di Ita. Quando Draghi benedisse il trapasso di Alitalia, indicando lo scenario di un successivo accordo con un altro importante vettore estero, Meloni tuonò: “Si vuole svendere la nostra gloriosa compagnia di bandiera ai tedeschi”. Era l’ottobre del 2021. Passarono dieci mesi, e il canovaccio si ripropose: ad agosto, con le elezioni incombenti, la leader di FdI ammonì il premier uscente: “Nessuna vendita, rilanceremo noi l’azienda”. Com’è finita, si sa.
Come finirà sul Superbonus, invece, non è ancora chiaro. In commissione Finanze, a Montecitorio, scade domani il termine per gli emendamenti al decreto che ha bloccato la cessione dei crediti d’imposta. Il governo, che vorrebbe evitare di intervenire in modo troppo netto, sta cercando di coordinare il caotico fermento della maggioranza, che pure da giorni si dimena in una strana danza sul posto. L’ipotesi di ricorrere agli F24 per liberare i cassetti fiscali resta l’unica concreta: sempre che dal Tesoro non rinnoveranno gli allarmi sui flussi di cassa. “Altre soluzioni non ne vediamo”, commentano sconfortati leghisti e forzisti all’unisono. I quali ora, evidentemente, forse converranno che sì, gli avvertimenti di Draghi sui pericoli connessi alla proliferazione dei crediti e la contrarietà di Bruxelles rispetto alla creazione di una moneta fiscale parallela erano tutti fondati. Al punto che Giancarlo Giorgetti, per giustificare il suo intervento drastico sul Superbonus, in conferenza stampa ha riletto le dichiarazioni dell’allora premier al Senato, nel suo ultimo discorso prima del tracollo. Ha però omesso di dire, il ministro dell’Economia, che quelle parole il centrodestra le condivise a tal punto che di lì a qualche minuto sfiduciò la persona che le aveva pronunciate.
Doverose doppiezze della politica, si dirà. Come quelle esercitate da Meloni sul campo energetico. In campagna elettorale FdI criticava gli attendismi del governo Draghi e della Commissione europea sul price cap, e vagheggiava un piano per realizzare un decoupling su scala nazionale che, con appena 4 miliardi, avrebbe garantito il calmieramento dei prezzi da ottobre ad aprile. Poi, arrivata a Palazzo Chigi, Meloni ha pensato bene di chiedere a all’ex ministro Roberto Cingolani di offrire consulenze al governo, proseguendo la trattativa già avviata dal governo Draghi, per poi rivendersi come un successo “del governo di centrodestra” il raggiungimento di un accordo sul price cap.
Qualcosa di analogo succederà, del resto, anche sui balneari. Dopo mesi di ammuina che hanno condotto fino a un dissidio palese col Quirinale, ora il governo – dove pure non si capisce chi abbia la delega specifica sulle spiagge – sta lavorando a una soluzione che Raffaele Fitto ritiene l’unica su cui si possa convincere Bruxelles. Consiste nel recupero della bozza elaborata dall’allora consigliere economico di Draghi, Francesco Giavazzi, e poi accantonata per le proteste del centrodestra: prevede la messa a gara in tempi rapidi delle concessioni, ma con tutele e salvaguardie ai gestori uscenti. Che è poi la sola alternativa alla decadenza immediata delle concessioni prevista dal Consiglio di stato a fine 2023: un termine che la Corte di giustizia europea, tra qualche settimana, potrebbe addirittura anticipare. E qui per Meloni si riproporrebbe un enigma: recuperare le sue convinzioni di un anno fa, quando faceva ricorso (ovviamente vedendoselo respinto) contro la Bolkestein presso la Corte costituzionale, svilendo così anche le osservazioni di Sergio Mattarella, oppure affidarsi alle prescrizioni di Draghi. Scommesse aperte.