Il personaggio

The wolf Mario Sechi: "Io sono Sechi, lo ero, lo sarò. L'Agi è mia". Le frasi del nuovo comunicatore di Meloni

Carmelo Caruso

Saluta la sua redazione di Agi fa un monologo a metà tra il Lupo di Scorsese e l'onorevole Trombetta. Dice ci rimette economicamente e che un altro come lui non esiste. E non esclude il ritorno nel giornalismo "perché le offerte non mi mancheranno"

Martin Scorsese, dove sei? State per leggere la sceneggiatura del prossimo capolavoro del regista de “Il Lupo di Wall Street”. L’attore è Mario Sechi, da ieri capo ufficio stampa del governo Meloni. Per capire chi sia, come lavorerà, abbiamo in anteprima il copione. E’ il suo discorso di addio (è autentico!) da ex direttore dell’Agi e lo ha tenuto di fronte alla sua redazione, venerdì 3 marzo. E’ una magnifica fusione, una via di mezzo, tra il discorso motivazionale di Leonardo DiCaprio ai suoi broker, lo Zarathustra di Nietzsche e l’onorevole Trombetta di Totò: “Ma mi faccia il piacere”. Iniziamo dalla frase totemica: “Io non sono Mario Sechi perché sono venuto all’Agi. Io ero già Mario Sechi. E lo sarò anche dopo. L’Agi resta mia, io non mi sento un esule, non vado al confine”. E infatti va solo a Palazzo Chigi! (sul telefono di Palazzo ha inserito il titolo “portavoce Sechi”). Coloro che erano presenti, i privilegiati colleghi che hanno ascoltato quelle parole, da allora camminano sulle acque. Un essere divino, un superuomo, Sechi, quattro anni fa, entrò in una redazione, quella di Agi, per “salvare un pezzo di giornalismo”.

 

Le grandi gesta necessitano della terza persona e dunque Sechi, per quaranta minuti, (“sarò breve”) si è traslato ed elevato ne “il sottoscritto”. Ebbene, il mondo deve sapere che il “sottoscritto”, nei suoi quattro anni da direttore, ha ottenuto “170 ore di visibilità in televisione, di cui 150, sempre del sottoscritto. E poi passaggi streaming, ancora del sottoscritto. Quattro mesi estremamente profittevoli, e lo ripeto, estremamente profittevoli, e chi li ha fatti?”. Vabbé, avete capito, ma intonatelo in coro, se potete. Chi li ha fatti?  “Il sottoscrittooooo!”. Il “sottoscritto” ha un maestro ed è Giampaolo Pansa (prima era Vittorio Feltri, ma diciamo che ultimamente è stato poco tenero). Un giorno Sechi ha incontrato Pansa e Pansa gli ha rivelato il quarto segreto di Cabras (Sechi è nato a Cabras, in Sardegna). “Caro Mario, noi giornalisti non siamo di nessuno e Sechi non è di nessuno”.

 

Pansa è poi diventato editorialista di Sechi, un uomo che ha vissuto “la solitudine del comando”, uno che non aveva bisogno di fare il direttore di Agi perché, così ha precisato, “ero molto felice, guadagnavo benissimo e facevo una vita migliore”. Si è sacrificato, “non so se è chiaro?”. Ma il cielo è venuto in suo soccorso. L’Agi è l’agenzia di stampa di Eni, un editore per cui bisogna avere “sacro rispetto”. Tre volte sacro (lo ha raccomandato Sechi). Il “sottoscritto”, dal 2013 (“Sono un manager Eni da allora”) ha lavorato con ben due amministratori delegati. L’ultimo, l’attuale, è Claudio Descalzi (secondo Carlo De Benedetti il vero premier del governo Meloni) un ad che è “fuori da qualsiasi classificazione. Un gigante”. Ma Sechi ha avuto al suo fianco anche “Claudio Granata, top manager Eni”. I top manager Eni per supportare “il sottoscritto” hanno spostato pure “l’ad di Enjoy, Pino Macchia, e lo hanno destinato ad Agi”. Glielo hanno consegnato, anzi, come confidato sempre Sechi, alla redazione, “l’ad me lo ha dato qua”.

 

E’ una grande stupidaggine quella che si racconta ovvero che conta la squadra e non l’allenatore. Spiega Sechi: “Si dice che contano solo i campioni che fanno gol, peccato però che poi c’è chi li mette in campo”. E chi lo ha fatto? Forza, in coro: “Il sottoscritto!”. Un avviso, ahinoi, non ci sarà un altro direttore come Sechi, e lo dice Sechi: “Curriculum come il mio non è facile trovarne in giro. Dopo di me non ci sarà un’altra persona che reggerà questa pressione, non ci sarà perché bisogna farsi concavi e convessi. Vedrete e direte, Mario aveva ragione. Domani è un altro mondo perché io me ne vado. E sia chiaro, me ne vado io”. Barili di lacrime sono stati riempiti dopo questa frase. La borsa del pianto è crollata. Ma non perdiamoci. In tasca i fazzoletti.

 

Perché il sottoscritto lascia? Tre motivi. “Se l’istituzione chiama, e sei un patriota, e sei un italiano, le persone serie rispondono. L’istituzione ha chiamato e io ho risposto”. Siamo certi che non fosse Glovo? Dicono di no. Sechi aveva il telefono libero. Ma Sechi è anche aziendalista: “C’è un’istituzione che è la più grande azienda del paese, l’Eni, e c’è l’altra istituzione, che è ancora più importante, ed è il governo. E poi ci sono io”. Il sottoscritto. E Sechi ci rimette: “Per me è un sacrificio economico enorme, nessuno di voi avrebbe accettato”. Ma c’è un terzo motivo: “Conosco personalmente Meloni e ho intenzione di restituire qualcosa a questo paese”.

 

Il giornalismo non deve tuttavia dolersene perché Sechi non è detto che farà il “capo ufficio stampa per sempre. Io resto fino all’ultimo lembo, fino all’ultimo atomo, un giornalista”. Verrà conteso: “Tornerò un giorno dall’altra parte della barricata, sono certo che le occasioni non mi mancheranno”. Eravamo timorosi di scrivere questo articolo, ma abbiamo seguito il consiglio di Sechi: “Noi giornalisti non siamo di nessuno”. Maestro Scorsese non esitare: “The wolf of Chigi street”. In un solo cinema. Odeon Meloni.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio