un'agenda per l'immigrazione
Il Cdm-spot di Cutro: corridoi e flussi non bastano, la chiave di volta è la Bossi-Fini
Mentre la Lega fa la guerra a Meloni rilanciando i decreti Sicurezza, in Calabria sul tavolo dei ministri ci saranno sempre le stesse contromisure: rimpatri e pene più severe per gli scafisti. Ma la svolta vera arriverebbe con una riforma organica
Il Consiglio dei ministri di oggi a Cutro dovrà andare oltre il mero atto simbolico, ha ammesso Nicola Molteni. La riunione, per il sottosegretario al ministero dell’Interno, non sarà solamente “rappresentativa”, ma “operativa”. E questo anche se, sotto traccia, Molteni stesso sia considerato al Viminale l’ombra lunga del trucismo applicato al dossier dell’immigrazione. E se in commissione Affari costituzionali alla Camera la maggioranza si autosabota, con la Lega che fa calendarizzare la discussione sui nuovi decreti Sicurezza prevista non a caso proprio per oggi, a Cutro, stando alle anticipazioni fatte dagli stessi ministri, l’impressione è di rivivere un film già visto, con l’esame di misure antiquate, ma di certo più pacate rispetto al pugno duro auspicato dal Carroccio.
Il primo punto all’ordine del giorno sarà lo stanziamento di più soldi per i centri di rimpatrio. Scelta già fatta solo pochi mesi fa, con l’ultima legge di Bilancio approvata dal governo Meloni, che ha previsto 42 milioni di euro in tre anni per potenziare i centri di detenzione dove i migranti irregolari attendono – spesso in condizioni detentive non idonee – di tornare in patria. Altro capitolo di spesa annunciato dovrebbe essere quello dedicato proprio ai rimpatri. Nonostante l’impegno del governo in tal senso, però, sarà difficile che questa misura trovi attuazione in tempi rapidi. Gli accordi bilaterali conclusi con i paesi di partenza dei migranti sono una scelta politica frutto di lunghi negoziati (è il motivo per cui oggi sono pochi quelli già finalizzati). Terzo punto all’ordine del giorno sarà l’inasprimento delle pene per gli scafisti. Al di là delle differenze sostanziali fra “scafista” e “trafficante di esseri umani”, dove il primo altro non è che la manovalanza del secondo che invece resta spesso impunito nei paesi di partenza, il governo intende rimettere mano alla legge Bossi-Fini. Con questa, fino a oggi, si sancisce una sanzione di 15 mila euro e una detenzione da uno a cinque anni per chiunque sia condannato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ma è difficile pensare che le reti del traffico di esseri umani si facciano più scrupoli a seconda delle pene inflitte in Italia.
Il punto su cui invece si risolverà davvero il dilemma fra la mano dura (leghista) e quella più conciliante (meloniana) sull’immigrazione è quello che riguarda l’apertura di vie legali per entrare in Italia. Si tratta del punto più controverso e non è chiaro se davvero il governo abbia un’idea precisa in merito, né se questo capitolo sarà affrontato al Cdm di oggi. Per essere efficace, ogni misura adottata in tal senso non potrà dedicarsi al semplice ampliamento dei corridoi umanitari o della portata del decreto flussi, ma necessiterà di mettere mano alla legislazione in modo consistente. Secondo la proposta del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, sarebbe opportuno portare il decreto flussi a quota 500 mila unità. Un aumento significativo se si pensa che, al momento, se ne prevedono 83 mila (di cui la metà solamente per i lavoratori stagionali) solo per determinati settori (quest’anno sono quello dell’autotrasporto, l’edile, il turistico-alberghiero, quello meccanico, delle telecomunicazioni, l’alimentare e la cantieristica navale).
Ma anche uno sforzo del genere non basterà a rispondere alle esigenze delle imprese, che chiedono più manodopera a fronte della crisi demografica. Il sistema attuale è rigido e appesantito da una burocrazia che rallenta la regolarizzazione degli stranieri. Come denunciato da ActionAid a Redattore sociale, dalla sua introduzione a oggi, cioè in 20 anni, “sono stati regolarizzati appena 800 mila lavoratori stranieri senza tenere conto degli stagionali. A questi si devono aggiungere due milioni di lavoratori che hanno invece usufruito delle sanatorie e che questa non è che un’ammissione implicita di come negli anni questo strumento non abbia mai funzionato”. In base alla legge Bossi-Fini del 2002, oggi si può entrare in Italia esclusivamente se il lavoratore straniero ha già in tasca un regolare contratto di lavoro. In pratica, chi vuole arrivare nel nostro paese deve essere già assunto da un datore di lavoro che presumibilmente non ha mai conosciuto di persona il nuovo dipendente. Non solo, ma non c’è modo di regolarizzare quegli stranieri che vivono in Italia e che hanno già un impiego, se non attraverso delle periodiche sanatorie. Anche solo modificando quest’ultimo punto si avrebbe un impatto enorme in termini di emersione del lavoro sommerso, oltre che di regolarizzazione degli stranieri, basti pensare ai numeri enormi di irregolari nel settore dei collaboratori domestici che oggi sono il 26 per cento dei lavoratori in nero.
Infine, alla voce salvataggi in mare, a Cutro i ministri potrebbero rilanciare quella proposta fatta dalla stessa Giorgia Meloni a inizio legislatura: una nuova missione europea Sophia per il salvataggio dei naufraghi. Un’idea scomparsa improvvisamente dalle dichiarazioni pubbliche della premier ma che potrebbe avere il duplice significato: riaffermare la responsabilità condivisa dell’Europa da un lato e chiarire, dall’altro, che prima si salvano le persone in mare e solo in seguito si ragiona sui loro requisiti per restare in Italia.