Governo e partecipate
Manuale Meloni. La complicazione sulle nomine. Carta Pontecorvo per Leonardo
Attori non previsti e il dosseir Leonardo. La premier potrebbe sparigliare e puntare sull'ex ambasciatore per la guida delle società che si occupa di aerospazio
Roma. La spaventano i ruffiani e la angosciano i citrulli. Giorgia Meloni teme ora la “variabile Anastasio”. E’ il manager nominato dal governo (si è dimesso) che si credeva il fascista Bombacci. Gli mancavano solo il fez e lo stivale di gomma. La premier, che dovrà scegliere i prossimi vertici delle partecipate di stato, intende togliere dalla contesa Leonardo, la società che si occupa di aerospazio e su cui Guido Crosetto rivendica lo ius primae noctis. Il ministro della Difesa insiste su Lorenzo Mariani come amministratore delegato malgrado il predestinato fosse l’ex ministro del governo Draghi, Roberto Cingolani. Meloni potrebbe fare un ulteriore nome che finora è stato coperto. E’ quello dell’ex ambasciatore in Afghanistan, Stefano Pontecorvo, già alto rappresentante della Nato, ed esperto di Difesa.
E’ la partecipata più contesa. Da qui la decisione di Meloni: avocare il dossier Leonardo, scontentare tutti e rimettere in discussione perfino la sua prima scelta. A Cingolani (su suggerimento di Claudio Descalzi, ad di Eni, il solo manager indiscusso) potrebbe offrire un incarico altrettanto prestigioso. Si parla della guida di Eni Plenitude. Il nome dell’ambasciatore Pontecorvo, nome che durante la formazione del governo era circolato anche per ricoprire la carica di ministro degli Esteri, sarebbe un’opzione seria di Meloni. E’ da sempre un uomo vicino alla premier, ha partecipato a numerose iniziative di partito. Gli ambasciatori sono il modello virtuoso del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. I manager desiderati da Meloni devono essere “immunizzati da vanità sovranazionali” e gli ambasciatori, girando il mondo, sempre per Fazzolari, sono i pochi a essere vaccinati. Nella scelta dei prossimi manager peserà, e non poco, anche una sorta di “lealtà patriottica”. Fazzolari si rifà al pericolo segnalato in passato dall’Aisi, ovvero “l’intensificazione e manovre di attori esteri finalizzati a occupare spazi crescenti di mercato (…) attraverso pratiche scorrette, rapporti lobbistici, esautoramento e avvicendamento di manager”. Detto in maniera più semplice: non devono aver mostrato sudditanza verso i paesi stranieri. I pensieri di Fazzolari sono la mappa del governo anche perché nel governo Meloni i rapporti di forza sono cambiati e le figure ascoltate si sono ridotte ormai a due. Dopo Fazzolari c’è solo Alfredo Mantovano.
Sono entrambi sottosegretari e sono la cortina contro i “ruffiani”, i veri fantasmi della premier. Secondo il manuale Meloni una cattiva referenza vale più di quattro lodi. I cv sono pesati con questo metodo: “Cosa si dice contro di lui?”. E’ attenta agli incontri, alle amicizie dei manager e a quanto filtra sui siti, sui giornali. Nelle ultime settimane si è infatti inserito un giocatore nuovo, non previsto, e che è anche un giocatore antico, forse il più abile in questo gioco di nomine. E’ Luigi Bisignani, uomo di relazioni e vecchio amico di Gianni Letta. Da quando Berlusconi ha incaricato ufficialmente Letta, 87 anni, di trattare per conto di Forza Italia è come se pure Bisignani avesse ricevuto il mandato. Rischia di avere una sua parte e anche non poco rilevante. Bisignani non si può definire. E’ una figura che si può solo abbozzare. Dice un uomo di FdI: “Il suo potere è spaventare il potere e il suo mestiere è procacciare, ad altri, mestieri”. Insieme a Gianni Letta ha selezionato negli anni manager, conosce virtù e vizi, come li conosce dei ministri. Oggi la “famiglia” di Meloni è fragile e questa fragilità non aiuta la premier. E’ come se Meloni si fosse separata in casa dai ministri di FdI. Le minacce russe a Crosetto, a cui va naturalmente la solidarietà di tutti, hanno paradossalmente nascosto le asprezze che ci sono. La decisione di Crosetto di costituire un think thank al ministero della Difesa è stata definita in FdI “un’operazione da pavone”.
A Cutro, quando Meloni ha passato la parola al ministro Lollobrigida chi era presente ha notato una smorfia. Hanno iniziato tutti insieme, lei, la sorella e il cognato, ma sono complici ancora? Sono una stessa e sola e cosa? Sono ancora gli stessi che si facevano forza tutti insieme e nella loro stessa casa? Meloni quanti “no” può ancora dire a Lega e Forza Italia? Berlusconi insiste su un solo nome e su quel nome avrebbe già chiuso. E’ quello di Paolo Scaroni, destinato alla guida di Enel, ma è una presenza ingombrantissima per qualsiasi ad. Il presidente stabilisce infatti gli ordini del giorno del cda e può essere un contropotere dell’ad se solo quel potere lo sa esercitare. A Scaroni vengono inoltre rimproverate le sue relazioni passate con la Russia. Per Enel si è sempre scritto che Meloni voglia come ad Stefano Donnarumma, già ad di Terna. Oggi ciò che era dato per certo è sempre meno certo. Pochi giorni fa Donnarumma ha avuto contatti con Bisignani e più di uno ora si chiede: “Prima di incontrare Bisignani di solito si chiede a Meloni. E’ stato fatto?”.
Potrebbe dunque restare a Terna mentre a Enel spostarsi un esperto come Luigi Ferraris, ex ad di Terna, attuale dirigente di Ferrovie. Alla Lega, dalla spartizione, sembrano invece destinate due partecipate oltre alla presidenza di Mps. Dovrebbe andare a Nicola Maione, già consigliere uscente. Salvini vuole promuovere Igor De Biasio che ha due incarichi, membro del Cda Rai e ad di AreExpo. Sono due incarichi sulla cui compatibilità si discute. La perdita di un incarico gli può aprire la strada in una partecipata, forte di un legame solido con Salvini. Il vero manager di cui però si fa vanto la Lega e che gareggia per una grande partecipata (è gradito pure a FdI) è Enrico Pazzali, presidente della Fondazione Fiera Milano, amico di Attilio Fontana. Un vero tavolo di governo sulle nomine, qualcosa che si possa definire tale, al momento non c’è stato. Di reale c’è solo il timore di selezionare ancora un citrullo, di promuovere un ruffiano, di sfasciare bilanci. La crudeltà è perfino un’altra. Sarà processata anche per saggezza, anzi, soprattutto per saggezza. Il vecchio mondo dirà che il suo mondo era troppo nuovo e il suo nuovo la accuserà di aver preferito ancora il vecchio.