Il commento
Il partito della nazione meloniana: una Cgil composta e un discorso perfetto
Con l'intervento di Giorgia Meloni al congresso del sindacato, la destra è finita. Più di così la premier non poteva fare per affermare la cultura democratica. E baci alla Ztl
Con l’intervento di Giorgia Meloni al congresso di Rimini della Cgil, dove quattro fischi in dissenso e le note di “Bella ciao” hanno sostituito degnamente l’inno sovietico suonato a Bologna, la destra è finita, e bene, con largo anticipo sulle previsioni. Non avrei scommesso un soldo bucato, sulla carta, e invece è semplicemente andata così. Aveva come al solito ragione Bettino Craxi, Pannella a parte con i suoi meravigliosi paradossi, che voleva togliere le disposizioni transitorie antifasciste dalla Costituzione repubblicana nel solco della storiografia defeliciana e del revisionismo benedetto di trenta, quaranta anni fa.
Ridicolo al momento chi insiste in schemi e pregiudizi. Smessi i panni della cristiana, madre eccetera, Meloni, che immaginavamo una Ducia liberale ma non fino a questo punto, porta l’abito di presidente del Consiglio, compreso un accento sociale che era estraneo alla sinistra italiana da anni e ora è affidato a Elly Schlein, vestita di diritti e compresa in un ruolo di opposizione ancora da definire, con composta attitudine istituzionale e una cura particolare nel ricentrare (trasformisticamente?) il sistema intorno a una nuova maggioranza nazionale che ha un sapore centrale se non centrista, occidentale, euroatlantico e, appunto, sociale.
Sdegno verso l’attacco dell’estrema destra fascistoide alla Cgil nazionale, a Roma, citazione di Argentina Altobelli nemica di Mussolini “sicario degli agrari”, invito al dialogo senza pregiudizi, nel reciproco riconoscimento di valori: più di così Meloni non poteva fare sulla via di Damasco di una decisa affermazione e appropriazione della cultura democratica. Per il resto, dopo Craxi e Prodi, ventisette anni dopo l’ultima comparsata di un capo del governo al congresso del sindacatone, la normalità assoluta, l’adesione alle linee programmatiche della coalizione che ha vinto le elezioni, riviste con sapienza alla luce dell’occasione politica del momento, un ciccinin di vanità quando ha parlato dei fischi e della metalmeccanica Chiara Ferragni. Meloni perfetta, Cgil composta e gentile nell’accoglierla e nell’applaudirla senza un’enfasi che sarebbe sembrata insincera.
Un’ex ragazzina politica di sezione, una militante e leader improbabile di un partito improbabile, nell’incredibile e fantasmagorico gioco della politica italiana, ha realizzato fin qui, con una politica estera e di difesa molto più avanzata di quella appoggiata dai confusi sindacalisti della Cgil, senza cedere sui criteri ideologici del tradizionalismo paracattolico d’antan, ma senza aggredire la tela di ragno dei diritti civili e sociali, le basi dell’alternanza alla guida del governo poste tanti anni fa dall’incarnazione berlusconiana del maggioritario.
Ennesimo capolavoro politico di un sistema enigmatico e possente, fluido e contemporaneo, per così dire, che fa dell’Italia, dove non si incendiano le piazze per una banale riforma delle pensioni, dove non si esagera che le “ley trans” e altre compensazioni del passato franchista, dove perfino i grillini si assorbono e si usano per la trasformazione riformatrice del paese o della nazione, come dice Giorgia Meloni, dove si minacciano, tra virgolette, senza strepito e senza caos, la flat tax degli estoni e il Ponte sullo Stretto alla danese, il tutto anche con i soldi dell’Europa e con alle spalle l’esperienza da urlo del governo Draghi, augusto predecessore della sua apparente negazione in re. Che volete che vi dica e che ve lo dico a fare? Io me ne sto saldamente dentro e fuori la mia personale e di gruppo Ztl, ma quel che è vero è vero.