Il commento del direttore
La trasversalità di Meloni costringe il Pd a fare i conti con un nuovo guaio
Riforma fiscale, garantismo, premierato forte. Quante battaglie non di destra la sinistra ha regalato alla destra? Una contraddizione su cui riflettere
L’importante e per nulla scontato discorso pronunciato ieri mattina da Giorgia Meloni al congresso della Cgil, a Rimini, ha messo di fronte agli occhi spaesati degli oppositori del governo una realtà politica tanto difficile da ammettere quanto impossibile da negare. Il tema è semplice: ma a forza di considerare di destra estrema tutto quello che sta facendo il governo, quante battaglie di sinistra la sinistra sta regalando alla destra? Giorgia Meloni, evidentemente, deve essere consapevole di questa contraddizione e lo spirito con cui ieri ha affrontato la platea della Cgil riflette bene questo ribaltamento della realtà. Siamo noi, ha detto Meloni, a voler difendere davvero i diritti dei più deboli, e questa riforma fiscale è pensata prima di tutto per loro. Siamo noi, ha detto Meloni, a voler difendere davvero le donne da ogni forma di violenza, e il fatto che a dirlo sia la prima premier donna dà al proclama un valore diverso rispetto al passato. Siamo noi, ha detto ancora Meloni, a voler difendere i diritti dei lavoratori, affermando di voler scommettere, con il suo governo, non sul diritto al Reddito di cittadinanza per tutti ma sul diritto al lavoro per tutti. Siamo noi, ha infine ribadito Meloni, a voler difendere davvero i piccoli imprenditori, vessati da uno stato ossessivo che gli rende ogni giorno la vita difficile. Meloni, in sostanza, ha compreso che la fine della trasversalità politica del Pd rappresenta un’occasione d’oro per la destra che sogna di muoversi da partito più perno della nazione che da partito perno di una singola coalizione e la presentazione della riforma fiscale, in fondo, non ha fatto altro che confermare questa impressione, considerando che su almeno quattro punti la riforma fiscale targata Meloni coincide perfettamente con la riforma fiscale targata Draghi, nata a sua volta da un testo partorito grazie al lavoro della vecchia commissione Bilancio guidata da Luigi Marattin, riforma osannata nella scorsa legislatura anche dal Pd. Vale per il superamento dell’Irap, con l’abolizione per le società di persone e sostituzione con sovraimposte Ires per le società di capitali. Vale per il cambiamento della tassazione sulle rendite finanziarie, con la scelta di unificare alcune categorie in modo da permettere le compensazioni. Vale, ancora, per la riforma Irpef a tre aliquote, vecchia battaglia della sinistra. E vale, infine, per la riforma dell’Iva, con razionalizzazione del numero delle aliquote. Il Pd, considerando la riforma fiscale del governo Meloni frutto della peggiore cultura politica proveniente dalla destra estremista, ha scelto dunque di regalare alla destra alcune sue battaglie storiche ed è una scelta che si trova in coerenza con altre battaglie altrettanto storiche che il centrosinistra ha involontariamente scelto di mettere nelle mani della destra di governo. Pensate al tema del garantismo, per esempio, e a prescindere da ciò che combinerà Nordio, con le sue riforme annunciate, si può dire che il Movimento 5 Schlein, ops, ha scelto, dalle sue prime battute, di considerare la difesa delle garanzie come una battaglia più di destra che di sinistra.
Pensate al tema della difesa del manifatturiero, per esempio, e non ci vuole molto a capire che il tessuto industriale italiano, che in teoria il Pd dovrebbe rappresentare, sulle battaglie ambientaliste si senta più in sintonia con il governo che con l’opposizione. Pensate al tema della difesa degli insegnanti, ancora, e il fatto che sia stato un governo di destra, come quello di Meloni, ad aver aumentato, seppur di poco, gli stipendi degli insegnanti, dopo anni di immobilismo dei governi a guida Pd, stanziando 300 milioni per portare l’aumento mensile lordo degli stipendi a 124 euro al mese lordi in più, dovrebbe offrire ulteriori spunti di riflessione rispetto al tema della sinistra che sceglie di regalare alla destra battaglie non di destra. Pensate, in una certa misura, anche alla battaglia sull’autonomia differenziata, che in teoria dovrebbe essere una battaglia non estranea alla cultura progressista, essendo stata proprio la sinistra italiana ad aver introdotto l’articolo V nella Costituzione, che regola e incoraggia l’autonomia delle regioni italiane. E pensate, infine, anche a quello che sarà uno dei temi chiave della stagione meloniana, nell’ambito delle riforme sistemiche, che coinciderà con un obiettivo messo a fuoco ieri dalla premier ancora al congresso della Cgil: “Una riforma in senso presidenzialista o comunque una elezione diretta del vertice dell’esecutivo, nelle forme che il Parlamento riterrà”. E il fatto che Meloni ieri, per la prima volta, abbia lasciato intendere di non avere alcuna intenzione di volersi intestardire su una formula, il presidenzialismo, e abbia lasciato intendere, al contrario, di voler studiare compromessi sul tema, un compromesso che potrebbe coincidere con una riforma incentrata sul premierato forte, anticipa a suo modo un tema in linea con la tesi sostenuta in questo articolo: che cosa farà la sinistra quando la destra proporrà in Parlamento altre riforme, come per esempio il premierato, che non sono necessariamente patrimonio esclusivo della destra sovranista? Un’opposizione, naturalmente, per considerarsi efficace non può non muoversi con lo spirito di chi vuole intestarsi ogni genere di malcontento che potrebbe emergere nell’area di chi non si sente rappresentato da questo governo. Ma la capacità vorace con cui la destra di governo è riuscita in pochi mesi a impossessarsi di grandi temi che la sinistra ha scelto incredibilmente di dismettere costringe gli osservatori a ragionare attorno a un tema importante: ma a forza di considerare di destra estrema tutto quello che fa il governo, quante battaglie di sinistra la sinistra sta regalando alla destra? Difendere l’agenda Draghi, per un partito d’opposizione, può non essere semplice, ma intestarsi l’agenda Tafazzi potrebbe non essere un’idea brillante per provare, un giorno, a presentarsi sulla scena pubblica con il profilo ambizioso di chi sogna di costruire un’alternativa per vivere in una dimensione più ambiziosa degli hashtag su Twitter.