Il racconto
Meloni e il fantasma di Cutro: "Mi danno dell'assassina, sono una mamma"
La premier in Senato in vista del Consiglio europeo: andrà a Bruxelles per parlare d'immigrazione, inseguita dalla tragedia. In serata la telefonata con Ursula von der Leyen
E’ il giorno delle comunicazioni di Giorgia Meloni al Senato in vista del Consiglio europeo di giovedì e venerdì (domani si replica alla Camera). Si cercano vie di fuga. Per esempio: cosa si staranno dicendo, appoggiati a un tavolo della buvette come due amici al pub, Matteo Renzi e Francesco Lollobrigida avvolti nel più classico dei pissi pissi?
Ministro, l’ex premier le sta dando consigli su come costruire il partito della nazione? “No, abbiamo parlato di Lazio e Fiorentina: lo giuro!”, dice “Lollo”, personaggio indiscusso del governo, con la faccia di chi spera che l’interlocutore gli creda e la falcata che trasuda potere.
La premier intanto sta per entrare in Aula. Primo colpo d’occhio dall’alto: sui banchi del governo mancano i ministri leghisti. Non c’è Matteo Salvini, per esempio. Ed è assente (in missione) anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Dettagli. La protagonista è lei. Alle 11.30 prende la parola e subito si capisce che a Bruxelles parlerà d’immigrazione. “Un’emergenza strutturale”. Ed ecco che cita Cutro, la tragedia dei migranti annegati. Un fantasma che perseguita la premier. Che sembra non darle pace. “Anche nella più feroce polemica politica c’è un limite che non dovrebbe mai essere oltrepassato, il limite oltre il quale, per colpire un avversario, si mette in cattiva luce la nazione intera”.
L’argomento di Meloni ormai è noto: non si possono gettare ombre “addirittura” sugli uomini e le donne della nostra Guardia costiera e sulle nostre forze dell’ordine, in questo caso la Guardia di Finanza. Da qui l’accorato appello della premier: “Colleghi, criticate ferocemente il governo, criticate ferocemente me, le scelte che facciamo, i provvedimenti che prendiamo, le nostre eventuali mancanze, ma vi prego: fermatevi un secondo prima di danneggiare l’Italia”. La vicenda di Cutro rimane una scatola nera: la ricostruzione della catena di comando nei salvataggi viene tutti i giorni messa in discussione. La conferenza stampa dopo il Consiglio dei ministri resterà agli annali “come una roba mai vista”, dicono vecchi funzionari del governo. E poi altro mistero gaudioso: non si è mai capito, e nessuno sa spiegarlo, perché la premier non è andata ad omaggiare le salme a Crotone e perché non si è presentata sulla spiaggia del disastro. Sono tutti punti interrogativi che lasciano aperta la vicenda. Sulla quale però Meloni non transige. E ne fa un punto d’onore personale, come donna e madre, prima che come presidente del Consiglio.
Sicché il dibattito si accenderà durante la giornata sempre su Cutro, il fantasma che non va via. Durante il dibattito Meloni si segna queste parole di Tatjana Rojc del Pd: “Perché quelle persone sono morte quando potevano essere salvate? Cosa non ha funzionato quella notte davanti alla spiaggia di Cutro? Dove è mancata la catena di comando? Ancora nulla sappiamo, ma, come dice Pasolini, tutti sappiamo, ma non abbiamo ancora le prove. Comunque la verità verrà a galla”. Meloni scrive, sbuffa, prende appunti. Bisogna attendere il momento della replica della premier. Fissarla negli occhi color brace. Urla, si vede che è scossa. Non ci sta. Fissa Rojc: “La mia coscienza è perfettamente a posto”. Applausi della curva del centrodestra. “Spero che sia a posto anche la coscienza di chi usa le morti di povera gente per fare propaganda. Lei aggiunge una cosa che per me è ancora più grave. Per rendere più profonda la sua accusa dice, citando Pasolini, che tutti sappiamo ma non abbiamo le prove”. La premier è incontenibile, i decibel altissimi: “Questa è l’idea di giustizia che in questa Nazione hanno alcuni, perché nello stato di diritto sono le prove che fanno un colpevole, non sono i colpevoli che definiscono le prove”. La torcida del centrodestra esplode. Ancora Meloni: “Lei dunque mi conferma che avete stabilito un colpevole senza avere le prove. Non esistono prove che il governo italiano potesse fare di più, lo avrebbe fatto come lo fa ogni giorno, salvando una media di 2.000-3.000 persone”. E’ una ferita. Meloni ha pianto a Bucha, in Ucraina, quando ha visto le foto delle fosse comuni. E adesso sembra riprendere quel tono, tra la rabbia e lo sdegno che rigetta al mittente: “Io sono una madre, collega, per cui vi prego, cerchiamo di contenere i toni del dibattito. Quando ci presentiamo al cospetto dell’Europa con mezzo Parlamento che dice che l’Italia non ha voluto salvare quelle persone, quando l’Italia viene lasciata da sola ad affrontare un problema che da sola non può affrontare, sfuggirà sempre qualcosa, ci sarà sempre qualcosa che andrà storto”.
Questo è il tema che io voglio porre, ma ribadisco che la mia coscienza è perfettamente in ordine. Sono ombre che non si allontanano. E si capisce anche quando sempre durante il dibattito Meloni si sfoga con il ministro Raffaele Fitto: “Mi danno dell’assassina, ti rendi conto?”. La giornata regala un acuto sulla guerra – con i distinguo classicissimi della Lega portati dal capogruppo Massimiliano Romeo – ma poi zero sorprese. Intanto a Palazzo Chigi le beghe interne vedono vincere Francesco Lollobrigida sulla nomina unica del commissario per la siccità, in barba al Carroccio e FI. Meloni vuole spronare la Ue come dimostrano le telefonate pomeridiane con primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, e soprattutto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Non vuole più un’altra tragedia dei migranti, vuole scacciare il fantasma che la perseguita.