L'intervento
"Davvero qualcuno pensa di sconfiggere militarmente la Russia?". La Lega prende le distanze da Meloni
Il capogruppo Romeo interviene in Senato e mette in fila tutte le perplessità del suo gruppo sul sostegno all'Ucraina: "Ci troviamo di fronte al deserto della diplomazia”. Poi invita la premier a non appiattirsi su Nato e Usa
"Davvero qualcuno pensa di sconfiggere militarmente la Russia?". Più di una semplice dichiarazione di voto. Quasi un'arringa, quella di Massimiliamo Romeo, che - intervendo in Senato dopo le dichiarazioni della premier Giorgia Meloni, in vista del Consiglio europeo - mette in fila tutti i dubbi della Lega sul sostegno militare all'Ucraina. Parole e posizioni che si sovrappongono, a tratti scavalcano, il pacifismo grillismo. Per qualcuno richiamano anche la propaganda putiniana.
Il capogruppo del Carroccio annuncia il voto favorevole del suo gruppo, ma esprime "la forte preoccupazione su come stanno andando le cose sul fronte dellla guerra tra Russia e Ucraina". Si smarca dunque dall'azione del governo e da quella degli alleati internazionali. "Iniziative di mediazione di alcuni paesi vengono subito accontonate e giudicate non credibili ancora prima di essere attentamente analizzate", accusa Romeo, che si riferisce pur senza nominarla alla proposta di pace che arriva da Pechino, rispetto a cui - lascia intendere - esiste un pregiudizio da parte dell'Alleanza atlantica, degli Stati Uniti.
Per questo, "l'obiettivo della cessazione delle ostilità sembra più una dichiarazione di principio". Quindi: "Il problema non è il sostegno militare all’Ucraina, ma la corsa ad armamenti sempre più potenti". Sono dubbi che nei giorni scorsi ha espresso anche l'altro partito di maggioranza, Forza Italia, a proposito della richiesta di aerei avanzata da Zelensky. Romeo si rivolge alla premier, che assiste scura in volto, con la stessa espressione che si vede sui banchi di Fratelli d'italia, dove non applaude nessuno: "Siamo certi che un escalation del conflitto riuscirà a tenere lontana la guerra dall’Europa e dal nostro paese?", chiede il senatore, mettendo così in dubbio le parole della stessa Meloni, che poco prima, nella sua relazione, aveva spiegato come le armi fossero necessarie al contenimento del conflitto su una scala “regionale”. Non per il capogruppo del Carroccio a quanto pare, le cui dichiarazioni, in molti passaggi, sono anche più dure di quelle pronunciate dagli esponenti del M5s.
Ma non è una novità. Perchè posizioni molto simili la Lega, lo stesso Romeo, le aveva pronunciate a gennaio in occasione del voto sul decreto per l'invio di nuove armi a Kyiv. "Non si può sconfiggere Putin", disse allora. Circa un mese dopo, proprio nel giorno della visita della premier a Kyiv, e con un tempismo quantomeno curioso, sempre il capogruppo leghista ripeteva al Foglio: "Cara Meloni, siamo ostaggi della propaganda bellicista". Concetti che ritornano, più netti.
Oggi, cita il capo di stato maggiore della difesa italiano e quello americano, per ribadire che "non esiste una soluzione militare per questo conflitto, ne Kyiv né Mosca possono vincere”. Analisi militari che vengono definite "saggi consigli, davanti a cui la politica resta sorda".
"Ci troviamo di fronte al deserto della diplomazia”, è la stoccata successiva, attraverso cui la Lega sembra contestare al governo Meloni un eccessivo appiattimento sulle posizioni atlantiche. "Servirebbe più equilibrio. Servirebbe recuperare il ruolo storico dell’Italia per favorire il dialogo e almeno la tregua". Quindi l'appello, che per i toni con cui viene mossoha il sapore di una sfida: "Contiamo su di lei presidente. Sentiamo dire in giro che lei è una tosta, non solo perché ha avuto il coraggio di andare al Congresso della Cgil", premette. Prima di affondare il colpo: "Se è vero che stiamo combattendo la battaglia per la libertà dell’occidente, dobbiamo essere pronti a difenderla anche in casa nostra. Che libertà è quella che criminalizza qualisasi idea che si discosta di un millimetro al pensiero dominante?". La risposta che si dà Romeo è eloquente: "Assomiglia più a una dolce tirannia". Ed è anche il segnale di una certa insofferenza.
Equilibri istituzionali