Meloni in soccorso degli amici di Spagna e Polonia, sperando nella svolta a destra dell'Ue
Vox la vuole sul palco per la campagna elettorale spagnola. Il PiS polacco spera in un suo intervento per sbloccare i fondi europei. La premier punta tutto sull'alleanza tra Popolari e Conservatori nel 2024, ma ci sono grossi rischi. I numeri in bilico. I timori di Weber
Tutti la cercano. E a lei piace che tutti la cerchino. E si capisce. Gli amici di Vox le hanno già fatto pervenire la richiesta: “Devi darci assolutamente una mano, in campagna elettorale”. I fratelli polacchi del PiS, pure loro alla prese con le urne, le sono grati per la promessa ricevuta, che insomma sarà proprio lei a mettere una buona parola per ottenere lo sblocco dei fondi del Recovery. E però non è solo vanità. Se Giorgia Meloni, imbarcandosi verso Bruxelles per il Consiglio europeo di oggi e domani, è convinta di poter giocare un ruolo decisivo, ora e nei prossimi mesi, per la causa degli alleati Conservatori, è perché ci crede davvero, è costretta a crederci, nel suo piano di rovesciare gli equilibri europei nel 2024 e dar vita all’accordo tra Ppe ed Ecr. Forse ci crede perfino troppo, se è vero che anche Manfred Weber, il capogruppo dei Popolari che pure è convinto della bontà del progetto, le ha suggerito cautela, ché bisogna andarci cauti.
Perché la prospettiva è concreta. E, a loro modo, lo hanno dimostrato anche le parole, nette e definitive come mai prima, con cui Licia Ronzulli due giorni fa ha liquidato, nell’Aula del Senato, la maggioranza “Ursula” e l’accordo tra Ppe e Socialisti che ne è alla base. Segno, dunque, che sul solco tracciato dall’aratro sovranista anche FI ora sta con la spada sguainata. Il sogno di un’intesa tutta a destra tra Ppe ed Ecr, magari col sostegno degli ultranazionalisti di Identità e democrazia, è più d’una velleità.
Grossa parte di questo progetto dipenderà da Madrid e Varsavia. In Spagna si vota a dicembre, e la vittoria del Partido popular pare scontata. Con un’incognita, però, legata al risultato di Vox: da lì passa la possibilità di una coalizione iperconservatrice. E’ la speranza di Santiago Abascal, che confida appunto in un aiuto dell’amica Giorgia. La quale magari non si presterebbe a una replica del farneticante comizio in Andalusia dell’ottobre del 2021, ma magari sarebbe chiamata a qualcosa di più impegnativo del videomessaggio che un anno dopo, da premier ormai designata, ha inviato “a bassa voce” in occasione del convegno di Vox. Lì, tra antieuropeisti iberici e nostalgici del franchismo, in verità un endorsement di Donna Giorgia lo vorrebbero già in vista delle comunali di maggio, probabile prova generale di quel che sarà in autunno. Di certo c’è che le elezioni spagnole potrebbero esasperare un conflitto politico tra le due principali leader politiche italiane, se è vero che intanto Elly Schlein proprio con Pedro Sánchez è andata costruendo il suo più solido rapporto europeo – fatto anche di frequenti sms – che oggi dovrebbe essere suggellato da un incontro a Bruxelles.
Prima di Madrid, però, toccherà a Varsavia. A ottobre si decideranno le sorti della Polonia, e i conservatori del PiS, oggi al governo grazie a una tribolata coalizione di destra radicale, puntano alla riconferma. Anche per questo hanno chiesto che Meloni, storica alleata, si spenda per agevolare lo sblocco degli oltre 30 miliardi di fondi europei congelati da Bruxelles in attesa di una riforma della giustizia meno liberticida. Il rapporto d’altronde è consolidatissimo: e non a caso ieri, poco prima di decollare, Meloni si è sentita a telefono proprio con l’amico Mateusz Morawieck, premier e leader del Pis che sogna di poter gestire ancora a lungo questa impensabile centralità polacca sullo scacchiere internazionale, come ha dimostrato ieri nel suo ambizioso discorso all’università tedesca di Heidelberg. Che il PiS vinca, in effetti, sembra scontato. Che riesca però a formare una maggioranza di governo, respingendo l’assalto delle attuali opposizioni, più difficile.
Ma è questa la scommessa di Meloni. Perché se davvero anche Spagna e Polonia, dopo che già Italia e Svezia hanno imboccato la stessa strada, scegliessero la direzione della destra identitaria, allora gli equilibri europei, dopo le elezioni del maggio del 2024, potrebbe arridere alla leader di FdI. Che ormai s’è tagliata i ponti con Emmanuel Macron, e fatica a filare la lana con Olaf Scholz: deve sperare dunque che l’azzardo riesca.
Ci spera, a ben vedere, anche Weber. Che però ha chiare in mente anche le contraddizioni di un simile piano. Perché, come il capo dei Popolari ha spiegato alla premier, una virata secca a destra rischierebbe di allargare faglie che già esistono, nel Ppe. Un bel pezzo di Cdu tedesca teme ad esempio che una simile operazione potrebbe di fatto far saltare il cordone d’emergenza con la destra estrema, e dunque sdoganare un’intesa di cristiano-democratici e liberali con gli esaltati di AfD, finora relegati nel girone dei reietti. In Polonia, qualsiasi benedizione alla corsa del PiS verrebbe presa come un affronto da quel Donald Tusk – già premier, già capo del Consiglio europeo, uno che sa il fatto suo – che con la sua Coalizione civica, e da membro ufficiale del Ppe, spera invece nel colpaccio. E, se si sentisse tradito dalla sua famiglia europea, potrebbe anche guardare altrove, ai centristi di Renew.
E poi, ovviamente, ci sono i numeri. Nell’attuale Parlamento europeo, Ppe ed Ecr hanno il 36 per cento dei seggi. Posto che Macron ha già diramato il suo veto su un’alleanza con la destra radicale, non resta che aggiungere gli ultranazionalisti di Id, quelli di cui fa parte la Lega, e che però sono attraversati da simpatie filoputiniane così spudorate da essere intollerabili per gli stessi polacchi: e in ogni caso si arriverebbe al 45 per cento. Mancano almeno 50 seggi. Davvero le elezioni del maggio del 2024 consentiranno di colmare questo vuoto? Chissà. Per Meloni, però, questo pare l’unico schema di gioco possibile. E dunque ci crede.