Giorgetti, comefossantani. Così il governo dice sì alla ratifica del Mes, ma anche no
Reticenze, vaghezze, errori. Il ministro dell'Economia al Senato rinnova la sua insostenibile inconsistenza con frasi senza senso sul Fondo salva stati: testimonianza di una strategia fondata sull'ipocrisia, sulla consapevolezza di dover fare quel che non si può dire. Nell'attesa, ora, che Meloni lo smentisca (di nuovo)
L’insostenibile inconsistenza dell’essere Giancarlo Giorgetti. Atto settantaquattresimo, o giù di lì. E sì che, pure stavolta, c’era chi si attendeva parole di chiarezza, frasi anche solo vagamente indicative di una strategia, di un’intenzione: che fare col Mes? C’era perfino, forse, chi le paventava, quella parole. Claudio Borghi, nostalgico impenitente della lira, uno che il lutto della guerra del Carroccio contro l’euro non lo ha mai elaborato, nell’attesa dell’intervento del responsabile dell’Economia nell’Aula del Senato, si aggira per il Salone Garibaldi col tono di chi si acconcia alla battaglia, di chi si prepara a denunciare l’abiura. “Ah, voglio proprio vedere cosa dirà il ministro, sono qui che aspetto, non vedo l’ora di poter ascoltare le sue dichiarazioni”. Passa mezz’ora e Raffaella Paita, capogruppo del Terzo polo, ascoltata la replica che Giorgetti ha offerto alla sua interrogazione, se la ride compiaciuta: “Quando il gatto non c’è, i topi ballano. Con Meloni a Bruxelles, Giorgetti può dire quel che pensa”. Solo che questo resta il dubbio, alla fine: che pensa, Giorgetti? Di più, anzi: che dice?
“Di fatto ha ammesso che sono pronti a ratificare il Mes”, insiste Paita, “cosa che prendiamo per buona almeno finché la premier non lo smentirà di nuovo”. La verità è che ad ascoltarlo, Giorgetti, non si capisce mica cosa dica. Mentre i renziani lo interpellano, lui sorride, sornione. Loro, ingenui, pensano davvero che un’interrogazione a un ministro della Repubblica a questo serva: ad avere risposte. Macché. In Inghilterra, forse, è così. In Francia. Per Giorgetti vale invece la lezione di Forlani: “Potrei parlare per ore senza dire niente”. E allora eccolo qui, prendere posto accanto a Eugenia Roccella. Di qua il massimalismo etico della ministra della Famiglia che vuole, bontà sua, perseguire reati in giro per il mondo, anche nelle parti che quei reati non riconoscono, raddrizzare insomma la morale del globo terracqueo, un po’ Toninelli un po’ Khomeini; di qua il minimalismo della volontà del ministro dell’Economia, uno che perfino quando tutto il mondo ha deciso, e attende la sola Italia, fischietta come se in fondo quel ritardo, quella mancanza, non lo riguardasse. E infatti annuisce, mentre Paita gli ricorda che l’Italia è l’unico dei 20 paesi aderenti al Mes a non aver ratificato il nuovo trattato del Fondo salva stati. Ma al dunque, se la cava con un assai fumoso “così fan tutti”. “Anche gli altri paesi europei fanno ostruzionismo sull’unione bancaria”, dice.
“Tengo a sottolineare che la riforma è stata concepita in un contesto diverso dall’attuale, che non teneva ancora conto degli choc determinati prima dalla pandemia e successivamente dalla crisi energetica correlata alla guerra tra Ucraina e Russia”, spiega Giorgetti. Non ricordando, forse, che quando né la pandemia né la guerra erano cose reali, nel novembre del 2019, lui convocava una conferenza stampa alla Camera, insieme a Salvini, Borghi&Bagnai, per dire che al Mes bisogna dire no: “Né ratificarlo né modificarlo, va rigettato”. E in parte è ancora rimasto lì, al momento in cui accusava di tradimento Giuseppe Conte e l’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria (salvo poi chiamarlo, Tria, a fargli da consigliere al ministero, in pieno stile giorgettiano). “La risoluzione approvata il 30 novembre impegnava il governo a non procedere alla ratifica della riforma del trattato istitutivo del Mes con riferimento al quadro regolatorio europeo in evoluzione”, scandisce. Dando così conforto ai celoduristi padani (e Massimiliano Romeo, lì seduto in Aula a dettare gli applausi alla truppa leghista, infatti apprezza).
Poi, però, c’è anche la tesi complementare, così che chiunque possa decidere se Giorgetti abbia detto più sì o più no: un ministro à la carte. E qui la frase tocca riportarla per intero, sperando che il lettore ci si raccapezzi meglio di chi ha dovuto interpretarla al Senato: “Sebbene quest’ultima (l’unione bancaria, ndr) in particolare sia ferma da troppo tempo per il veto di alcuni paesi, con un comportamento che definirei a questo punto ostruzionistico, in realtà negli ultimi giorni ha in qualche modo rinnovato l’interesse a completare i tasselli mancanti di tale architettura finanziaria”. Chi è che “ha completato”, chi sia insomma il soggetto, non è chiaro. E forse l’anacoluto sta lì a testimoniare tutta l’involuzione di un pensiero, di una strategia fondata sulla reticenza, sulla consapevolezza più o meno lucida, più o meno ipocrita, che si dovrà fare qualcosa che non si potrà dire. “È quindi nell’ambito di una complessiva e articolata riconfigurazione degli strumenti in grado di salvaguardare il mercato comune dalle turbolenze dei mercati finanziari – conclude il ministro – che dovrà aver luogo il dibattito, anche parlamentare, sulla ratifica delle modifiche al trattato istitutivo del Mes”. Comefossantani.
Il resto è esegesi dei sospiri. “Giorgetti ha rinviato tutto alle calende greche”, scuote il capo Carlo Cottarelli, del Pd. “Giorgetti, sia pur con una risposta sibillina, ha detto che ratificheranno”, mette a verbale il renziano Ivan Scalfarotto. Chi ha ragione? Ah, saperlo.
Perfino Giulio Tremonti, che pure Giorgetti lo conosce bene, fatica a divinare le intenzioni del suo governo. E infatti la discussione sulla ratifica del Mes nella commissione Esteri della Camera, quella che lui presiede, l’ha rinviata alla settimana prossima. Unici relatori, quelli di minoranza: Enzo Amendola e Naike Gruppioni. Evidentemente, nella maggioranza non saprebbero neppure che dire. E a chiedere una dritta a Giorgetti, rischierebbero di capire, ognuno, una cosa diversa.