Tra folklore e campanilismo
Oltre all'autonomia il Veneto vuole un suo inno: “Stavolta si farà”, promette la Lega
D’accordo pure FdI, la proposta verso la fumata bianca in Consiglio. Ma il separatismo non c’entra: quella di Zaia sarebbe la sesta regione italiana ad avere un proprio brano ufficiale. E in Europa è quasi la regola
C’è l’euforia delle grandi occasioni. “Con la firma del presidente della Repubblica sul disegno di legge per l’autonomia differenziata”, ha dichiarato in questi giorni il governatore Luca Zaia, “la riforma compie un deciso passo in avanti”. Il Veneto, insomma, sente di non essere mai stato così vicino a onorare il fatidico referendum del 2017. E di poter davvero portare a casa “la madre di tutte le battaglie”, come la chiamano i leghisti di vecchio stampo. Tanto che in Consiglio regionale ci si domanda: e se proprio sul più bello non avessimo la musica per festeggiare? Quella ufficiale, almeno. Perché ad oggi la regione più federalista d’Italia non ha un proprio inno. E sulla cresta dell’onda, gli amministratori del Carroccio vogliono risolvere anche quest’annosa questione simbolica. Che emanciparsi dalla capitale cantando “schiava di Roma” rischia di stonare un po’.
La proposta è arrivata in aula su spinta di Giuseppe Pan, capogruppo in Consiglio molto vicino al sottosegretario di Stato Massimo Bitonci (e dunque a Salvini). Questa volta, è convinzione comune, l’inno si farà. La Liga ci ha provato a più riprese da anni, andandovi vicinissima: nel 2018 l’iniziativa naufragò per un solo voto. Colpa degli alleati, tra la forte contrarietà di Forza Italia e l’astensione di FdI. Ma oggi le cose sono cambiate. Come spiega il Gazzettino, mentre all’epoca era stata richiesta una modifica allo statuto regionale ora si procede con una proposta di legge ordinaria. Basta dunque la maggioranza semplice, non più quella qualificata.
E il rischio forse nemmeno si porrebbe. Perché nel frattempo i meloniani hanno cambiato idea: fanno sapere “che le priorità dei cittadini sono altre”, ma in Sesta commissione hanno votato a favore del progetto di legge Pan. “Il Veneto, che vanta una storia continuativa come popolo unitario lunga più di un millennio, non può non avere un proprio inno”, spiega lui. “Tanto più oggi, che i veneti si sono espressi in massa per ottenere maggiore autonomia da Roma”. Toni da tanko sul campanile, anzi no. “Serve un brano che rappresenti la nostra identità e la nostra cultura, magari in lingua veneta. Ma non va strumentalizzato politicamente: una volta deciso sarà integrato agli inni d’Italia e d’Europa”.
L’argomento dei leghisti è che disporre di “un inno riconosciuto a livello locale e istituzionale” non costituirebbe affatto un unicum. Né implicherebbe alcunché di irredentista. In effetti, nel nostro paese, già cinque regioni hanno i loro personalissimi canti cerimoniali: tre a statuto speciale, come Sicilia (“Madreterra”, di Vincenzo Spampinato, scelto nel 2003), Valle d’Aosta (“Montagnes Valdôtaines”, composto da Alfred Roland nel 1832, ufficiale dal 2006) e Sardegna (“Su patriotu sardu a sos feudatarios”, scritto da Francesco Ignazio Mannu nel 1794 e adottato nel 2018). Poi dal 2014 c’è anche “Lombardia, Lombardia”, firmata Mario Lavezzi-Giulio Rapetti Mogol. E pure le insospettabili Marche, da oltre quindici anni, cantano il brano senza titolo di Giovanni Allevi e Giacomo Greganti.
Stessa musica in giro per l’Europa, non c’è nemmeno bisogno di scomodare la delicata situazione britannica. Il “Bayernhymne”, che dal 1946 rappresenta il länder più esteso della Germania, gode perfino di protezione legale. Intonano un proprio lied anche gli stati di Amburgo, Baden-Wüttemberg, Hesse e Saarland. Lo stesso fanno in Francia l’Alsazia, la Bretagna, la Corsica e la Provenza. Hanno un loro inno tutte le province olandesi, tutti gli stati federati austriaci. E tutte le comunidades autónomas spagnole, a prescindere dai venti indipendentisti più o meno tesi. In questo senso, il passo del Veneto sarebbe molto più vicino al folklore (o campanilismo: fate voi) che a serenissimi separatismi.
Dunque, salvo improbabili ribaltoni di palazzo, resta una domanda: cosa si canterà dal Po alle Dolomiti? La proposta di Pan infatti non prevede una sinfonia determinata. Questa sarà decisa in un secondo momento, da un gruppo incaricato dall’assessore alla Cultura che a sua volta presenterà il brano candidato in commissione. L’ultimo passo dell’iter prevede l’approvazione definitiva della giunta Zaia. Ma intanto il toto-inno è già scattato. Tra i grandi favoriti, forte della candidatura nel 2018, c’è “Na bandiera, na léngoa, na storia”: testo in dialetto, riarrangiamento di Luciano Brunelli, musica tratta niente meno che dalla “Juditha triumphans” di Antonio Vivaldi, che la compose su incarico del doge Giovanni Corner nel 1716. Sempre sul versante leone alato ci sarebbe già un solenne “Inno a San Marco”, di attribuzione incerta. Qualcuno, tra il serio e il faceto, ha suggerito la celebre “Marieta monta in gondola”.
E però si rimane a Venezia, alle cartoline. La novità pop sarebbe invece “Veneto alè alè”, realizzata da due influencer locali, Cristian Cisco e Andreas Ronco, e presentata da Zaia in persona nel dicembre 2021. È un motivetto incalzante, panregionale: tra autoironia – “il veneto è un popolo che beve ed è volgare” – e attualità spicciola – si citano Canova e Del Piero, Marco Polo e Bebe Vio. De gustibus, insomma, per chi alla tradizione preferisce la leggerezza. Ultimo appunto, a scanso di equivoci e per il dispiacere dei fanatici: innoveneto.org esiste ma è il sito di un centro di ricerca per l’innovazione tecnologica. Nel dubbio però meglio ricontrollare.