L'editoriale
Lode alle università italiane, che funzionano e attraggono talenti
Aumentano immatricolazioni e laureati (anche stranieri), migliorano il ranking e la regolarità degli studi. Numeri per rispondere alla fuga dei cervelli: siamo ancora un paese su cui si può investire
Che cosa pensereste se vi dicessimo che buona parte delle lagne sull’università italiana sono frutto di polemiche farlocche? Che cosa pensereste se vi dicessimo che la fuga dei cervelli in Italia è un tema che riguarda più i cervelli che l’Italia attrae che i cervelli che l’Italia fa scappare? E che cosa pensereste se vi dicessimo che l’effetto della pandemia non è stato quello di aver messo in mostra il peggio dell’Italia ma è stato quello di aver messo in mostra la sua capacità di offrire opportunità? Dopo aver letto alcuni giorni fa notizie incoraggianti sulle università italiane, dopo aver letto che la Sapienza, secondo la World University Rankings by Subject 2023, la classifica dei migliori atenei per disciplina accademica elaborata dagli analisti di QS Quacquarelli Symonds, ha il primato mondiale negli studi sull’antichità e dintorni, e dopo aver letto che l’emigrazione giovanile è diminuita del 21 per cento nell’ultimo anno censito (2021 su 2020) ed è calato della stessa misura anche il numero dei laureati espatriati nella fascia di età tra i 25 e i 34 anni (Sole 24 Ore del 20 marzo), siamo andati a curiosare nella banca dati italiana che monitora mensilmente tutti i numeri che hanno a che fare con l’università del nostro paese.
Con grande sorpresa abbiamo scoperto che le notizie sulla morte dell’università italiana sono quantomeno fortemente esagerate. I numeri, tanto per cominciare, dicono che negli ultimi dieci anni i laureati in Italia sono aumentati di circa 80 mila unità e dicono che dopo la pandemia il numero dei laureati ha registrato un boom senza precedenti. Il dettaglio? Eccolo.
Nel 2011, i laureati sono stati 297.030. Nel 2012, 302.844. Nel 2013, 308.029. Nel 2014, 308.130. Nel 2015, 304.842. Nel 2016, 311.824. Nel 2017, 318.275. Nel 2018, 328.120. Nel 2019, 342.916. Nel 2020, 352.266. Nel 2021, 370.758. Stessa storia anche per gli immatricolati, che rispetto al 2011 oggi fanno segnare circa 45 mila iscritti in più all’anno. Il dettaglio? Eccolo. Nel 2011, gli immatricolati sono stati 279.598. Nel 2012, 269.493. Nel 2013, 268.808. Nel 2014, 269.201. Nel 2015, 274.600. Nel 2016, 288.798. Nel 2017, 291.762. Nel 2018, 297.385. Nel 2019, 311.373. Nel 2020, 330.472. Nel 2021, 323.852. Numeri che migliorano anche sotto un altro punto di vista interessante, che riguarda i dati sui laureati stranieri. Nel 2011, erano 8.292. Nel 2012, 9.390. Nel 2013, 10.243. Nel 2014, 10.961. Nel 2015, 11.381. Nel 2016, 11.785. Nel 2017, 12.241. Nel 2018, 13.183. Nel 2019, 14.853. Nel 2020, 15.759. Nel 2021, erano 17.224. I dati, per molti aspetti sorprendenti, confermano un’analisi offerta qualche mese fa nel rapporto AlmaLaurea 2022. Rapporto che ha fatto emergere una valutazione positiva dell’università con l’88,8 per cento dei laureati che si è dichiarato soddisfatto per il rapporto con i docenti, con il 72,9 per cento che confermerebbe la scelta compiuta sia di corso sia di ateneo, con una condizione occupazionale che fotografa un tendenziale miglioramento del tasso di occupazione a un anno dal titolo, segnando +2,9 punti percentuali rispetto al 2019 per i laureati di secondo livello e +0,4 punti per i laureati di primo livello, e con le retribuzioni che anch’esse risultano in aumento: “Rispetto all’indagine del 2019 – si legge nel rapporto AlmaLaurea – si rileva +9,1 per cento per i laureati di primo livello e +7,7 per cento per quelli di secondo livello”. Altre chicche? Eccole. Il numero maggiore di laureati? Nel 2021, è stato in Ingegneria industriale e dell’informazione (33.984 uomini, 28.478 donne).
Le università dove s’è laureato nel 2021 il maggior numero di stranieri? Il Politecnico di Milano (2.017), la Sapienza (1.397), il Politecnico di Torino (1.154), la Bocconi (927), la Luiss (126). Le nazionalità dei laureati stranieri? In 1.176 arrivano dalla Cina, in 5.050 dall’India, in 478 dall’Iran, in 160 dal Libano, in 123 da Israele. Altri dati interessanti? Eccoli. Si trovano sempre nel rapporto AlmaLaurea. L’età media alla laurea migliora. Nel 2021 è stata pari a 25,7 anni (nel 2011 era 26,9 anni). Migliora anche la regolarità negli studi. Nel 2011 concludeva gli studi in corso il 38,9 per cento dei laureati, nel 2021 la percentuale raggiunge il 60,9 per cento. Il voto medio alla laurea nel 2021 è stato pari a 103,5 su 110, mentre nel 2011 fu 102,9 su 110. Ovvio, c’è molto da fare, le università italiane faticano ancora a competere con le migliori università del mondo, nelle classifiche internazionali gli atenei del nostro paese che riescono a risultare competitivi si contano sulle dita di una mano, i cervelli in fuga restano, certo, ma i numeri dicono che le università italiane attraggono più del previsto (e attraggono anche investitori: pensate al caso Pegaso, l’università telematica di Danilo Iervolino venduta due anni fa al fondo di investimento inglese Cvc Capital Partners per oltre un miliardo di euro), funzionano meglio del previsto (semmai il problema grave che è quello di avere un sistema produttivo che non assorbe laureati o addottorati: i migliori spesso vanno a lavorare fuori già dopo la laurea), creano più opportunità del previsto e offrono qualche indicazione utile per ricordare al governo che l’unico modo per rispondere alla fuga dei cervelli non è pensare a come non farli scappare ma è pensare finalmente a come attrarre chi considera l’Italia un paese su cui provare a investire. E a proposito di studenti, andate a pagina tre e avrete una sorpresa.