La crisi in Tunisia e non solo. La realtà che batte le balle
Il dossier sull’immigrazione ha ricordato a Meloni una durissima verità: per risolvere i problemi dell’Italia occorre rimuovere le proprie promesse demagogiche. Le nove svolte necessarie
Realtà uno, populismo zero. La cosiddetta “emergenza migranti” di fronte alla quale si trova oggi l’esecutivo italiano – negli ultimi 90 giorni sono sbarcate in Italia circa ventimila persone, da inizio anno in Grecia ne sono arrivate 3.216, in Spagna 3.852 – ha avuto l’effetto di mettere di fronte ai principali azionisti della maggioranza di governo alcune realtà, e forse persino alcune verità, difficili da maneggiare ma impossibili da non elencare.
La prima realtà interessante, utile da inquadrare più dal punto di vista mediatico che da quello politico, è lì a mostrare con chiarezza i limiti di un vecchio sillogismo sovranista, grosso modo così riassumibile: se un paese si ritrova improvvisamente a fare i conti con una “emergenza migranti”, la responsabilità principale di quella emergenza è da individuare nelle autorità del paese che accoglie, autorità che irresponsabilmente hanno creato le condizioni per spingere i migranti a partire dai propri paesi. In altre parole, se al posto di Matteo Piantedosi oggi ci fosse al Viminale Luciana Lamorgese, o qualsiasi altro ministro non facente parte di una maggioranza di governo guidata da Meloni e Salvini, oggi Meloni e Salvini avrebbero chiesto la sua testa, accusando quel ministro di essere responsabile dell’“emergenza” (ed è per questo che in questi giorni il ministro Piantedosi si è sentito in dovere di spiegare che il vero pull factor, nei fenomeni migratori, non è il governo di un paese ma è, udite udite, il sistema mediatico del paese che accoglie, e con questa acrobazia ci aspettiamo da un momento all’altro di veder sfilare il ministro dell’Interno come ospite d’onore di uno spettacolo del Cirque du Soleil).
La seconda realtà che si presenta in modo traumatico di fronte agli occhi del sovranista di governo, oggi, indica una verità difficile da digerire ma anche qui impossibile da non illuminare. E la realtà è questa. Dinnanzi alla prima vera crisi sistemica legata all’immigrazione, i populisti hanno scoperto che non esiste strategia efficace su questo terreno che non passi dalla rimozione immediata e forzata di alcune promesse elencate in campagna elettorale dai campioni del sovranismo. Non si possono fermare i flussi, come si era detto. Non si possono fermare le partenze, come si era promesso. Non si può bloccare l’immigrazione, come si era sostenuto. Non si possono chiudere i porti, come si era predicato. Non si possono attuare blocchi navali, come avevano vaneggiato. Ma, al contrario, di fronte ai fenomeni migratori l’unico verbo possibile da utilizzare è quello che i sovranisti hanno sempre respinto con violenza: governare, naturalmente. E così, oggi, per governare il fenomeno, per fare i conti in particolare con la crisi sistemica che sta attraversando la Tunisia, diventata la principale rotta marina adottata dai migranti per avvicinarsi all’Europa, il governo Meloni si è ritrovato a fare i conti con una realtà formata da almeno cinque punti.
Primo: studiare i meccanismi politici di contenimento, collaborando con la Tunisia per rafforzare la Guardia costiera del paese. Secondo: rafforzare gli accordi con la Tunisia per il rimpatrio dei migranti irregolari, accordi che attualmente prevedono l’invio dall’Italia verso il paese nordafricano di una nave da Genova ogni due settimane e di due voli a settimana. Terzo: offrire alla Tunisia un sostegno non solo logistico ma anche finanziario per dare ossigeno a un paese che con tutti i limiti possibili resta comunque una democrazia. Quarto: costruire, con l’aiuto dell’Unione europea, corridoi umanitari non solo teorici, ma pratici, veloci, efficienti. E, quinto, trasformare i flussi in entrata verso l’Italia anche in un’opportunità economica per il nostro paese, rivedendo al rialzo i flussi regolari in entrata, verso l’Italia, e provando a trasformare il fenomeno in un’occasione per rispondere alla domanda di manodopera molto forte che arriva dalle imprese del paese.
Passare, a livello nazionale, dalla stagione del populismo a quella del pragmatismo non sarà semplice, ma sarà necessario. E sarà ancora più necessario seguire un approccio nuovo, di discontinuità con il proprio passato, anche su un piano diverso, nel quale il populismo dei sovranisti fatica a passare dalla demagogia alla realtà.
Problema numero uno: come farà Meloni a scommettere sulla relocation in Europa essendo i primi avversari di questa politica due amici del cuore di Meloni e Salvini, come Orbán (Ungheria) e Morawiecki (Polonia)?
Problema numero due: come farà Giorgia Meloni a chiedere maggiore solidarietà all’Unione europea senza aver un’agenda favorevole alla rivisitazione del trattato di Dublino e senza avere intenzione di riprendersi i cosiddetti dublinanti che i paesi che potrebbero collaborare con l’Italia sul fronte della solidarietà chiedono da mesi all’Italia di riprendersi senza successo (Germania, Belgio, Olanda, Francia)?
Problema numero tre: come farà Giorgia Meloni a riattivare la missione europea Sophia se colui che nel recente passato ha preteso e ottenuto la chiusura della missione, accusando l’operazione Sophia di essere un pull factor dell’immigrazione, è stato nientemeno che il numero due di questo governo, ovvero Matteo Salvini?
Problema numero quattro: come si può considerare l’immigrazione solo un problema italiano, “ci hanno lasciato soli”, quando ogni anno in Europa ci sono tre milioni di immigrati che arrivano nel nostro continente e quando circa otto decimi degli arrivi in Italia sono solo migranti di passaggio che attraversano l’Italia per andare in Francia e in Germania (l’Italia è il primo paese di ingresso nella Ue, ma è solo il quinto paese nella Ue come numero di richiedenti asilo: la Germania ne ha tre volte di più, la Francia due)?
La cosiddetta “emergenza migranti” di fronte alla quale si trova oggi l’esecutivo italiano ha costretto i sovranisti a fare i conti con la realtà, a ragionare sulla propria propaganda, a rimettere in discussione le proprie promesse e a passare, più o meno esplicitamente, dalla stagione del fermare a quella del governare. Non è detto che l’Italia di Meloni e Salvini possa ottenere successi su questi dossier (finora in verità è successo l’opposto). Ma sapere che il governo Meloni ha cominciato a capire che ogni strategia sull’immigrazione deve passare dalla rimozione delle proprie promesse è uno spettacolo per cui vale la pena pagare il biglietto. E chissà che in prospettiva non ci regali qualche soddisfazione. Realtà uno, populismo zero.