Metti una sera, a Bruxelles, con Casini
Ci sono Fitto e Gentiloni che parlottano di Recovery e governo. E poi ambasciatori, funzionari della Commissione, la crème brussellese intorno al risotto con lo zafferano. "Qui tutti per Pier". Si parla soprattutto di Pnrr. "Ma Meloni sull'Europa dovrà abbandonare la propaganda e fare politica"
Alla cena di gala, ci riferiscono, “il y a du monde”. Ci sono tutti, alla corte di Federica Favi, ambasciatrice italiana in Belgio. Ci sono diplomatici, ministri, commissari europei, notabili ed eurodeputati di ogni partito. E forse è un po’ questo il senso “della politica che non c’è più”. Non il conciliare l’inconciliabile, certo. “Ma abbandonare le opposte narrazioni, che non reggono alla prova della realtà”, dice Pier Ferdinando Casini. Il grande ospite della serata, qui, è lui.
O meglio, è anche lui. Nel senso che la cena era stata organizzata per salutare come si conviene Piero Benassi, rappresentante permanente italiano a Bruxelles per due anni, appena sostituito da Vincenzo Celeste. Casini era nella capitale belga per presentare il suo libro: “C’era una volta la politica”. Prima l’incontro con la presidente Roberta Metsola, poi la conferenza. Pubblico delle grandi occasioni, pienone presso l’Istituto italiano di Cultura, quindi l’invito che viene esteso: tutti a cena dall’ambasciatrice Favi.
Menù curato, ma popolare. Risotto allo zafferano aquilano, tiramisù: Zeitgest sovranista rispettato, bollinatura di sovranità alimentare (sennò Lollobrigida chi lo sente), e pazienza se sulla provenienza del merluzzo non c’è certezza. Portata principale, però, manco a dirlo, il Pnrr e le tribolazioni che s’accompagnano ai ritardi del governo Meloni. “Sarebbe sleale attribuire tutte le colpe alla premier”, spiega Casini. “Con la burocrazia che abbiamo in Italia, con le lentezze strutturali delle nostre amministrazioni, chiunque, perfino Mario Draghi, sarebbe in affanno. Qui però la destra sbaglia: è passata in poche settimane dal trionfalismo di chi vuole far credere che ‘adesso che ci siamo noi patrioti, risolveremo ogni problema’, allo scaricabarile di chi se la prende coi precedenti governi. La sinistra eccede, però, nel proiettare su Bruxelles le polemiche politiche di casa nostra: non si fa. Mai”.
E un po’ di questo tentativo di concordia tricolore, in effetti lo s’intravede. Raffaele Fitto conversa con Paolo Gentiloni. Accanto a loro, Stefano Grassi, capo di gabinetto della commissaria all’Energia Kadri Simson, Mario Nava e Roberto Viola, direttori generali presso la Commissione, Stefano Sannino e Stefano Verrecchia, alte feluche all’ombra di Palazzo Berlaymont. E vista da qui, attraverso le battute di chi maneggia da vicino i dossier, forse la sfida del Pnrr è un po’ meno spaventosa. Perfino Fitto, piuttosto incline al fatalismo catastrofista negli ultimi giorni, sceglie tinte meno fosche. “Non sono rassegnato”, giura. “Raffaele è un democristiano, che in quanto tale ha imparato a convivere anche con ciò che non condivide del tutto”, sorride Casini, col tono di chi sa che i vecchi dc ne hanno viste sempre troppe, per cedere allo sconforto. “Sa che c’è un sentiero stretto tra speranza e realismo, sul Pnrr, e che dovrà percorrerlo”. Ed ecco il senso, allora, di questo parlottare insistito tra il ministro meloniano e il commissario europeo del Pd. Che allarga le braccia: “Noi, membri della Commissione, non possiamo essere i sindacalisti dei rispettivi paesi. Ma è certo che il giuramento di fedeltà all’Italia che abbiamo pronunciato non si esaurisce una volta che arriviamo qui, anzi si sublima”. Patriottismo, dunque, ma con juicio. “La verità è che anche la Commissione è un organismo politico. Le questioni vanno affrontate sul piano tecnico, certo, ma poi è la politica che risolve i dissidi”, prosegue Casini. “Sulla faccenda del biocarburante, ad esempio, l’Italia merita un’apertura di credito. Ma per ottenere credito, bisogna essere credibili”. E dunque, sempre perché polique d’abord, “sul Mes e sui balneari, questo conflitto con Bruxelles portato avanti dal governo non ha alcun senso”.
Parla a Fitto, Casini, perché Meloni intenda? “Meloni è una realista. Sa che molta della propaganda antieuropeista che l’ha portata al governo ora le è d’impaccio, perché la realtà è più dura e più complessa degli slogan. Non può, certo, liquidare tutta la sua narrazione in poche settimane, ma sa bene che se vuole ottenere risultati dovrà cercare un’intesa con Francia e Germania, altroché blocco di Visegràd”. Pragmatismo geopolitico, dunque? “L’Ucraina è stata la sua scommessa vinta, non a caso. Gli va dato atto di una coerenza indiscutibile, al netto degli ondeggiamenti assurdi di Lega e FI”. Il discorso di Massimiliano Romeo, giorni fa, lo ha sentito? “Sì, incredibile. Ma sono tutti regali per Meloni. Più i suoi alleati appaiono inaffidabili, più risalta la sua fermezza”.
E di Elly Schlein, a proposito di affidabilità, cosa ne pensa Casini, eletto a Palazzo Madama proprio nelle liste dem? “Tra un sano continuismo in nome del riformismo emiliano e l’elettroshock, il popolo del Pd ha scelto la terapia d’urto. E a volte, va detto, in politica funziona”. Un altro grande vecchio stregato dalla giovane segretaria? “Per un giudizio ancora è presto. Sul tema che per me era e resta dirimente, quello del sostegno chiaro all’Ucraina, riconosco a Schlein che ha tenuto la barra dritta. Gliene va dato atto”.