Il caso

Meloni cerca sponde dal Colle. I timori di Mattarella: "Niente strappi con la Ue"

Simone Canettieri

La premier rinuncia alla trasferta di Udine e va a pranzo al Quirinale. A tavola si parla dei fondi di Mes, migranti, balneari e soprattutto Pnrr. Lei rilancia: "Lo stiamo aggiustando, ma non l'abbiamo scritto noi"

Udine può saltare. Prima vengono i macigni che Giorgia Meloni si porta dietro. A partire dal Pnrr. Ecco perché la premier stravolge l’agenda, sale al Quirinale per un incontro con il capo dello stato che si protrae più del previsto. Circa un’ora e mezza. Le salta il volo di linea, evita di prendere quello di stato (“sarebbe stato scivoloso”) per partecipare al comizio in Friuli Venezia Giulia di Massimiliano Fedriga. Sul palco ci sono i suoi vice, Antonio Tajani e Matteo Salvini con il futuro bis governatore, ma lei no. Si collega da Palazzo Chigi. E’ una giornata punteggiata dall’uscita di Ignazio La Russa su Via Rasella. “Non se n’è parlato”, assicurano dalle parti di Sergio Mattarella che appena eletto, la prima volta, iniziò il suo mandato con una visita alle Fosse Ardeatine. “La Russa? Non era in agenda”, dicono imbarazzati a Palazzo Chigi.

   

Non c’è quindi uno scontro istituzionale in corso. O se c’è i diretti interessati fanno di tutto per dissimularlo. Dal Quirinale più che altro fanno trapelare l’ascolto e la piena disponibilità nei confronti della presidente del Consiglio alle prese con mille fronti. A partire dalla rata da 19 miliardi di euro del Pnrr che per il momento è bloccata: il vero assillo per Meloni. Soprattutto Sergio Mattarella teme che dietro a questo braccio di ferro con la Commissione possa aprirsi una vertenza con la Ue, con toni non inediti (Matteo Salvini, d’altronde, ha già iniziato). Ecco perché sul dossier si registra anche la triangolazione con Paolo Gentiloni, commissario agli Affari economici a Bruxelles. Rifare i progetti che non vanno, evitare scontri frontali e dunque “mettersi alla stanga”, come ha detto giorni fa Sergio Mattarella prendendo in prestito le parole di Alcide De Gasperi. Raccontano che il pranzo fosse stato propiziato la scorsa settimana al termine del consueto appuntamento al Colle con la premier e i ministri prima di tutti i Consigli europei. “Poi, presidente, ci vediamo presto”. “Sì, ci aggiorniamo nei prossimi giorni”. E così è stato. Solo che a metterli in fila, solo i dossier internazionali sono tanti e complicati: la guerra in Ucraina, la questione dell’immigrazione con il boom di sbarchi sulle coste italiane che segna un più 300 per cento rispetto allo scorso anno. In questa “panoramica ad ampio respiro” Meloni e Mattarella avrebbero parlato anche della vicenda tunisina e dei provvedimenti da aggiustare. Su tutti quello dei balneari, che l’Europa invoca, così come la mancata ratifica del Mes. Ma niente crisi, niente attriti: è il messaggio che viene diffuso per tutto il giorno dai centralini del Colle più importante di Roma.

 

Si registra dunque la disponibilità a dare una mano, a fare da sponda e da pungolo, da parte di Sergio Mattarella. Senza entrare nelle questioni parlamentari (ambo le parti escludono che si sia parlato di maternità surrogata, per esempio). Dalle parti del governo gettano acqua sul fuoco. E quindi il racconto di questo faccia a faccia, che accende un venerdì elettorale, viene derubricato a normale amministrazione. Al resoconto del capo di governo dei prossimi impegni istituzionali: la visita di Pedro Sanchez, la prossima settimana, la conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina il prossimo 26 aprile con il primo ministro Denys Shmyhal, la visita a fine mese (il 30) a Londra da Rishi Sunak. E poi il G7 in Giappone a maggio e il viaggio negli Usa a giugno. “Scenari economici e internazionali – dicono spargendo ottimismo gli uomini di Giorgia Meloni – in una fase in cui l’Italia è tra i paesi, dati alla mano, più solidi d’Europa”. Alla fine Meloni si collega per il comizio dell’ “amico” Fedriga. Passaggio degno di nota: “Il Pnrr non l’abbiamo scritto noi, stiamo facendo un lavoro certosino per rimodularlo”. Ogni riferimento a Mario Draghi è puramente voluto. 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.