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Un'autocertificazione da 40 miliardi. Meloni stana i sindaci sul Pnrr, e cerca un alibi

Valerio Valentini

Nella ricognizione sull'attuazione del Recovery, il ministro Fitto chiederà ai comuni e ai soggetti attuatori di ribadire i propri impegni. Così che il govern0 non resti col cerino in mano in caso di disfatta. La tensioni tra l'Anci e Palazzo Chigi

L’iniziativa, vista per quel che appare, risulta quasi una pedanteria superflua, un’incombenza  che arriverà ad aggravare un groviglio di obblighi burocratici che di complicazioni ne presenta già troppe. E tuttavia, se il governo ha deciso di chiedere ai sindaci e ai presidenti di regione di ribadire, mettendolo a verbale, i propri impegni di investimento nell’attuazione del Pnrr, è per una precisa scelta politica, oltreché tecnica. Quell’autocertificazione serve infatti a Giorgia Meloni per non restare col cerino in mano: per poter dire, qualora si trovasse costretta ad ammettere il mancato conseguimento degli obiettivi concordati con Bruxelles, che la colpa non è sua, ma degli amministratori locali.

Si dirà che la mossa tradisce l’ansia di chi, più che credere davvero nelle possibilità di successo del paese, della nazione, si prepara semmai ad amministrare la disfatta, a contenere preventivamente l’affanno e le polemiche, insomma a ridurre il danno che verrà, quasi sia scontato che dovrà venire. Logica da catenaccio all’italiana. Ma in fondo gli umori prevalenti, a Palazzo Chigi, sono proprio questi: “C’è chi ha potuto esultare per avere ottenuto dei miliardi, ed è Conte; chi s’è potuto limitare a promuovere delle riforme, e cioè Draghi; e ora, a noi, tocca la missione più improba, quella di realizzare davvero tutta questa montagna di buoni propositi”.

Ed è insomma un po’ con questo spirito che Raffaele Fitto, ministro per gli Affari europei che sempre più assume centralità nelle dinamiche del governo, ha concordato con la premier la decisione di chiedere a tutti i soggetti attuatori del Pnrr un’assunzione di responsabilità. Per cui, quando sembrava che la fase di monitoraggio interno sull’attuazione del Piano volgesse al termine, ecco la novità. Ogni ente territoriale che è destinatario dei fondi europei connessi col Next Generation Eu dovrà certificare al governo il proprio impegno nel conseguire gli obiettivi assegnati, nel completare cioè i progetti previsti dai rispettivi bandi di gara. Il tutto, in tempi rapidi. Perché questa ulteriore ricognizione servirà a Fitto per definire il dossier con le modifiche al Pnrr da inviare alla Commissione europea nelle prossime settimane, possibilmente entro il 30 aprile. E’ quella, infatti, la scadenza per presentare i Piani nazionali aggiornati, con tanto di richieste di risorse per il RePowerEu. E anche se non è da escludersi uno slittamento della scadenza – il governo la sta negoziando con Bruxelles – non si potrà comunque temporeggiare troppo. Tanto più che, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, l’esecutivo sarà chiamato a rendere conto al Parlamento sullo stato dell’arte del Pnrr, con la relazione da presentare alle Camere. Una relazione semestrale teoricamente: e che dunque, dovendo far seguito a quella redatta da Mario Draghi al termine del suo mandato, il 5 ottobre scorso, sarebbe lecito attendersi proprio in questi giorni, se non fosse che i contorcimenti del governo sul Recovery, e l’incertezza sulle trattative con la Commissione sia sugli obiettivi del 2022 sia sulle nuove scadenze, impongono un sovrappiù di riflessione e di pazienza.

Del resto non si parla di poca roba. Dei 191 miliardi totali, sono circa 40 quelli che riguardano progetti assegnati a comuni e città metropolitane: si tratta di 41 voci d’investimento. E’ chiaro che molto del destino del Pnrr, e della sua attuazione, passa dai sindaci. Che però, a vedersi additati come i responsabili dei ritardi, non ci stanno. Ed è per questo che i vertici dell’Anci, nei recenti confronti con Fitto, hanno rivendicato le proprie ragioni, le proprie doglianze. Ché se nel solo 2022 sono stati 12 miliardi quelli già investiti, sul totale di 40, vuol dire che la progressione non è poi così drammatica. E forse ancor meno lo sarebbe se il Mef aggiornasse costantemente la piattaforma Regis, la piattaforma di riferimento per gli enti locali coinvolti nel Pnrr; o se, almeno, dalla Ragioneria generale provvedessero a stilare i manuali con le istruzioni che i comuni devono seguire per completare le procedure su quel portale.

Insomma, il rischio della baruffa istituzionale, dell’italicissimo scaricabarile, a Palazzo Chigi deve essere sembrato fin troppo concreto, fin troppo incombente, per non suggerire a Fitto e Meloni di trovare una contromisura, una precauzione. Di qui nasce l’idea della consultazione  con gli enti attuatori. Tutti chiamati, e i sindaci in primo luogo, a rinnovare i propri convincimenti, i propri obblighi, o a certificare le difficoltà in cui sono incappati e chiedere dunque la rimodulazione degli obiettivi, magari il ridimensionamento delle risorse assegnate. Siete voi in grado di portare a termine i progetti che vi sono stati assegnati? Parlate ora, o tacete per sempre. Sperando che funzioni.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.