Foto Epa, via Ansa

S'intravede un asse Tajani-Blinken sulla Tunisia. Gli Stati Uniti si muovono. Contatti in corso

Valerio Valentini

Lavviso italiano sul rischio legato al collasso di Tunisi è stato dunque accolto. O, quantomeno, messo a verbale.

Tony più Tony. La battuta è nata sulla bocca del ministro degli Esteri inglese, James Cleverly. “I totally agree with the two Tonies”. Tajani e Blinken, finalmente d’accordo. Finalmente ascoltati, almeno per una giornata, dai loro colleghi, quando dicono che oltre alla guerra in Ucraina, gli alleati euroatlantici devono guardare al Mediterraneo, alla Tunisia.

 

Al vertice Nato di Bruxelles, l’avviso italiano sul rischio legato al collasso di Tunisi è stato dunque accolto. O, quantomeno, messo a verbale. E non sarà tanto, ma è a quel poco che Antonio Tajani, e con lui Giorgia Meloni, deve aggrapparsi. Constatando, se non altro, che da quel Consiglio europeo del 20 marzo, quando il capo della Farnesina segnalò il problema tunisino e quasi tutti lo guardarono con sospetto, qualcosa si muove. E se davvero nelle prossime settimane i ministri degli Esteri belga e portoghese andranno a Tunisi, significherà che allora anche Bruxelles, dopo la complicata missione di Paolo Gentiloni, vuole dare un segnale.

 

Nell’attesa, però, ecco gli americani. E questo, forse, è ciò che più di tutto dà conforto a Tajani e Meloni. Per due volte, negli scorsi giorni, l’ambasciatore americano, Joey Hood, si è incontrato con Fabrizio Saggio, il capo della diplomazia italiana, a Tunisi. Due cene per avviare un discorso, a seguito della telefonata tra Tajani e Blinken, “the two Tonies”, del 28 marzo. Due cene a cui hanno fatto seguito contatti tra l’intelligence americana e quella italiana, nella convinzione che le ragioni della geopolitica debbano prevalere su quelle della burocrazia. E dunque certo, le incognite offerte dal governo Saied, e dal suo stravagante autocrate, sono evidenti a tutti. Ma prima di pretendere da Tunisi riforme di austerity, c’è forse bisogno di accompagnare un progetto di messa in sicurezza delle istituzioni locali attraverso il prestito del Fmi. Di cui si discuterà, pare, negli Spring meetings di Washington di metà aprile. Anche perché, nel frattempo, il russo Sergei Lavrov ha telefonato al ministro degli Esteri tunisino: per sondare, per ammiccare, per offrire aiuto, diciamo. E questo, più d’ogni altra cosa, ha allertato la Casa Bianca.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.