L'intervista
“Rinunciare a parte del Pnrr è un errore”. Parla Cottarelli
L'economista e senatore indipendente del Pd contro la proposta della Lega che qualcuno a sinistra comincia a condividere: "Capisco la paura di indebitarci, ma stabilito il deficit farlo in altro modo ci costerebbe di più"
“Cominciare subito a dire ‘non ce la facciamo’ è il modo più certo per fallire”. Per parlare di Pnrr Carlo Cottarelli, uomo dei conti, ex direttore degli Affari fiscali del Fmi, oggi senatore indipendente in quota Pd, parte da questa considerazione ovvia, ma ormai neanche più tanto. Negli scorsi giorni Tito Boeri e Roberto Perotti con un intervento su Repubblica hanno rotto anche a sinistra il “tabù della rinuncia”, considerando come non così peregrina l’idea leghista di abbandonare almeno un pezzo dei finanziamenti del Pnrr a debito, circa 162 dei 191 miliardi richiesti da nostro paese fino al 2026. “Non è un’idea assurda ma non mi convince”, premette il professore. “Sul Pnrr in questo momento ci sono due questioni separate: la prima riguarda la capacità di questo governo e, in più in generale, della pubblica amministrazione italiana di realizzare il piano, la seconda è se è una cosa buona farlo perché, come dicono alcuni, molti progetti sono inutili o servono poco. I ragionamenti politici di chi spinge per una rinuncia partono da queste due considerazioni”. E non lo convincono. “Spiego subito perché”, dice. “L’argomento che si usa è questo: così ci s’indebita per opere non essenziali, ma si dimentica di dire che quell’indebitamento dipende dal deficit stabilito per spingere l’economia, una volta fissato quel deficit non spendere per quelle cose significherebbe finanziare a debito qualcos’altro, ma le condizioni di prestito del Pnrr sono molto vantaggiose, hanno un tasso d’interesse molto più basso di quello del mercato, questo significa anche un’altra cosa: poter fare progetti meno redditizi perché finanziati a un costo di due punti percentuali più basso”.
C’è poi la questione della capacità di spesa, del tempismo dell’amministrazione: si possono davvero spendere i fondi entro il 2026? “Sulla capacità di spesa – dice Cottarelli – ci sono delle notevoli incognite, ma bisogna stare calmi. Draghi ha fissato obiettivi molto ambiziosi che riporterebbero il rapporto tra investimento pubblico e Pil al 3 per cento, al livello di inizi anni 2000, da allora però sono cambiate diverse cose che spaventano. La più ovvia è il blocco del turn over nella Pa che ha causato una diminuzione degli occupati nel settore pubblico del 7,7 per cento, possiamo però presuppore che un po’ di aumento della produttività dovrebbe esserci stato e senza cifre enormi, con assunzioni mirate in determinati settori, possiamo farcela”.
Un’altra cosa che non convince l’economista riguarda l’ipotesi di spostare alcune voci di bilancio sui fondi europei (strutturali o di coesione) a più lunga scadenza. “Non risolve il problema di spendere i 191 miliardi del Pnrr entro il 2026: se sposti queste cose al di fuori devi mettercene delle altre, e siamo sicuri che queste altre riusciamo a farle? C’è già un ritardo di circa il 50 su 2021 e 2022, sono circa 20 miliardi. Spalmati fino al 2026 - spiega Cottarelli - significa 5 miliardi l’anno, è un ritardo recuperabile, ma la vera sfida è un’altra: riuscire nei prossimi tre a spendere tra i 35 e i 45 miliardi l’anno, d’altronde l’unica critica che si può fare a Draghi è quella di aver fissato degli obiettivi ambiziosi, ma d’ altronde se non lo fai non migliori, pensiamo a riuscirici piuttosto”.