L'editoriale del direttore
C'è un complotto pro Meloni. Avversari e alleati litigano e favoriscono la premier
Dal Pd al M5s passando per il Terzo polo. E poi la Lega e FI. Il clamoroso contribuito offerto al governo per permettere a Fratelli d’Italia di apparire più presentabile rispetto a quello che è
“Ho pensato che potrebbe essere in corso un complotto per far vincere il Movimento 5 stelle a Roma”. La famosa espressione utilizzata anni fa dall’ex parlamentare grillina Paola Taverna per sintetizzare lo stato di salute degli avversari del Movimento 5 stelle nella capitale – è sicuro: c’è un gombloddo! – potrebbe essere facilmente utilizzata oggi per sintetizzare lo stato di salute degli avversari del partito guidato da Giorgia Meloni. Guardi il Movimento 5 stelle, guardi il Partito democratico, guardi il Terzo Pol(l)o, guardi la Lega, guardi Forza Italia, guardi i giornali che si oppongono con più forza alla presidente del Consiglio e l’impressione che si ricava dal contesto appena descritto è che alla fine dei giochi tutti i soggetti in questione siano accomunati da un unico grande e involontario desiderio: cercare disperatamente un modo per non far sfigurare il partito di Giorgia Meloni. Prendete il caso del Pd, per dire, che nel giro di pochi mesi è riuscito nell’impresa (a) di regalare alla destra l’agenda dei doveri, (b) di regalare alla premier la battaglia senza se e senza ma a difesa dell’Ucraina, (c) di regalare il partito a una leader iscritta al Pd quasi per caso, (d) di mettere il Pd nelle mani di una segreteria composta prevalentemente da figure non iscritte al Pd, (e) di dare l’impressione di essere un partito schierato contro i progetti riformisti dei suoi stessi sindaci, (f) di dare l’idea di essere pronto a battersi con forza solo sui temi dell’agenda Zan e (g) di mostrare un interesse così timido sui temi del riformismo da aver dato l’opportunità al M5s di apparire più interessato del Pd nell’offrire un sostegno al governo per portare avanti l’agenda sul Pnrr. Prendete fiato un istante e considerate poi il caso del Terzo polo, ovviamente, che non essendo in grado di trovare un terreno fertile per mettere in difficoltà il governo Meloni ha scelto con dubbia intelligenza di seguire un filone di polemiche non meno spettacolari ma difficilmente costruttive, come quelle messe in campo negli ultimi giorni a colpi di insulti da Matteo Renzi e Carlo Calenda.
Risultato: gli oppositori del governo Meloni litigano malamente tra di loro, dentro i partiti, dentro le coalizioni, negli stessi istanti in cui gli oppositori tentano vanamente di mostrare la litigiosità della maggioranza di governo. Pensate a questo e pensate poi, per cambiare area di interesse, anche al contributo decisivo degli alleati della premier, nell’offrire la possibilità al capo del governo di risultare, dinanzi ai propri alleati, come un simbolo di responsabilità. Pensate alle parole dell’adorato Cav. su Zelensky, che hanno permesso a Meloni di trasformare la propria linea atlantista sull’Ucraina non in una posizione scontata ma in una linea politica quasi rivoluzionaria. E pensate poi al posizionamento assunto in questi mesi dalla Lega sull’Europa, con le critiche alle sanzioni dell’Ue contro la Russia, con le parole scettiche pronunciate sul Pnrr, con i duelli sterili ingaggiati con l’Europa sul tema dei migranti e con i conseguenti apprezzamenti ricevuti da Marine Le Pen per le proprie tesi euroscettiche, che hanno dato l’opportunità al timido europeismo di Meloni di spiccare, in termini di affidabilità, al cospetto dell’europeismo farlocco della Lega.
E pensate poi, per concludere e per restare ai temi di questi giorni, alle critiche durissime rivolte dalle opposizioni a Meloni sul fronte economico, con il M5s che dopo aver accusato la premier di essere un pericolo per i conti economici del paese ha scelto di attaccare la premier per essere stata eccessivamente prudente con la sua manovra e con il Pd che ha deciso di accusare Meloni sulle nomine per avere agito in modo spregiudicato, negli stessi istanti in cui Meloni era lì che confermava alla guida di società importanti due manager già scelti da governi del Pd (Descalzi e Del Fante) nominando alla guida di un’altra importante società (Leonardo) un ex ministro di un governo a cui il Pd e il M5s hanno dato ripetutamente la fiducia (Roberto Cingolani). La destra di Meloni offre ogni giorno buone ragioni per mostrare il suo volto populista, protezionista e securitario (#melonivietacose diverrà un hashtag di sicuro successo). Ma al cospetto dei suoi avversari e dei suoi alleati la destra guidata dalla presidente del Consiglio appare oggi quanto di più istituzionale, di più repubblicano e di più mainstream possa esistere all’interno del panorama politico italiano. E se ci fosse una Paola Taverna in Fratelli d’Italia oggi, di fronte a un’opposizione divisa, di fronte a un centro lacerato, di fronte a un alleato tramortito e di fronte a un sistema mediatico che accusa Meloni di essere fascista negli stessi istanti in cui Meloni si impegna a schierare con forza l’Italia contro l’attuale regime politico più vicino a quello fascista, ovviamente contro il regime putiniano, oggi non faticherebbe a chiedersi se vi sia o no, in Italia, un complotto reale per permettere al partito di Meloni di apparire più presentabile di quello che è, grazie a un’asticella della presentabilità che drammaticamente si è andata ad abbassare. È sicuro: c’è un gombloddo!