L'intervista
Due figli e niente tasse: Gian Carlo Blangiardo sposa l'idea di Giorgetti
Il professore di demografia ed ex presidente Istat condivide il progetto del ministro dell'Economia sulla natalità e ci spiega come renderlo anche sostenibile
“L’immigrazione va governata, non subìta. In Italia moltissime donne e giovani in età lavorativa restano fuori dal mercato del lavoro: è un ‘esercito di riserva’ da recuperare e valorizzare”. Gian Carlo Blangiardo, già presidente dell’Istat e professore emerito di Demografia all’Università di Milano Bicocca, interviene nel dibattito su nascite e migranti. E sposa l’idea del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, anticipata dal Foglio: niente tasse per chi fa almeno due figli. “Agevolare il passaggio dal primo al secondogenito – ci dice Blangiardo – è un obiettivo strategico per favorire un recupero sul fronte della natalità. E’ qualcosa di conciliabile con i modelli famigliari del nostro tempo e potrebbe configurarsi come il primo importante passo verso l’inversione di tendenza. Sarebbe auspicabile che tale passaggio avvenisse in corrispondenza di donne relativamente giovani, diciamo nella seconda metà dei trent’anni, così da rendere possibili anche eventuali terzogeniti, per chi li volesse. Quanto al come arrivarci, la proposta del ministro Giorgetti offre uno spunto di riflessione per me assai interessante. Si può valutare quali siano gli interventi (compatibili con la finanza pubblica) più capaci, da un lato, di fornire un concreto aiuto economico, dall’altro, di poter assegnare una sorta di attestato di ‘riconoscenza’ da parte della collettività verso chi è disposto a farsi liberamente coinvolgere nell’impegno di un maggior carico famigliare, assumendosene i costi e le responsabilità. Ad esempio, in passato io ho suggerito, a puro titolo gratificante e dimostrativo, di esentare la famiglia dal canone Rai all’atto della nascita del secondo figlio. Sarebbe un segnale in grado di comunicare quel ‘siamo con voi’ che testimonia il nuovo atteggiamento culturale di cui c’è enorme bisogno”.
Il premier Giorgia Meloni, martedì, su questo tema ha detto: “Non servono più migranti ma più figli e lavoro femminile”. Lei, professore, che ne pensa? “La realtà va presa per quello che è, con dati oggettivi. Siamo un paese demograficamente debole e, se non rilanciamo con determinazione la natalità, da qui al 2070 perderemo 11 milioni di persone. Nell’arco di tre decenni, rischiamo di arrivare alla soglia minima dei 300 mila nuovi nati in un anno. L’esperienza di altri paesi ci insegna invece che si può fare, che la tendenza può cambiare. Il modello tipico è la Francia dove la demografia è da sempre un tema centrale per i governi di ogni colore. Contributi economici, quoziente famigliare, asili nido a costi accessibili, assistenza in ogni forma. E poi per i francesi esiste il senso di una missione comune: fare figli per la nazione. E’ un sentimento condiviso. Lo scorso anno loro hanno salutato più di 700 mila nuove nascite, noi 393 mila”.
Secondo il presidente dell’Inps Pasquale Tridico, per assicurare l’equilibrio della bilancia previdenziale servirebbero più migranti in modo da compensare le carenze della popolazione in età lavorativa. Lei concorda? “L’amico Tridico ha ragione su un punto: i suoi conti non sono in rosso anche grazie al contributo dei giovani immigrati. Il contributo fornito dagli immigrati alla previdenza è importante ma rappresenta soltanto una boccata di ossigeno con conseguenze ben diverse in una logica di lungo periodo. Non dimentichiamo che ciò che viene versato oggi andrà restituito domani. Anche questi immigrati un giorno avranno diritto alla pensione, quindi non è un regalo offerto senza una contropartita. Nel lungo periodo i lavoratori di oggi saranno pensionati con diritto all’assistenza”. C’è poi un altro aspetto: un paese può rassegnarsi agli innesti esterni quando esistono milioni di donne e giovani inoccupati e potenzialmente occupabili? “Questo è un punto decisivo. In Italia il tasso di partecipazione femminile è tra i più bassi in Europa. Donne e giovani in età lavorativa non entrano nel mercato del lavoro. Qualche tempo fa, abbiamo notato un incremento del tasso di fecondità in provincia di Bolzano. In seguito ad alcuni approfondimenti, si è scoperto che in quell’area il mercato del lavoro aveva saputo integrare le donne governando positivamente i processi di conciliazione tra maternità e lavoro attraverso la flessibilità e il part-time su base volontaria. E’ indubbio che per molte lavoratrici il principale ostacolo sia rappresentato dal carico famigliare, ma non è sempre così. In Francia le donne lavorano e fanno figli”. In un sistema che le sostiene.
“In Francia il numero medio di figli per donna si aggira intorno a 1,85, da noi si attesta a 1,24. Se la retta di un asilo nido è di 900 euro, probabilmente una donna valuta più conveniente restare a casa e risparmiare quella spesa, soprattutto se l’impiego le offre un compenso di mille euro al mese. Fare figli non è solo questione di soldi ma anche di impiego del tempo e di organizzazione della vita, individuale e famigliare. Servono poi elementi di gratificazione sociale. Per troppo tempo, la logica è stata: li volete? Sono fatti vostri. Dovremmo cambiare: li volete? Sono fatti anche nostri, possiamo aiutarvi. Serve un riconoscimento per quelle famiglie che, magari con un pizzico di audacia, si spingono a fare tre o quattro figli. Dobbiamo puntare sulla sinergia con i privati: gli imprenditori che investono nel welfare aziendale vanno premiati con un diploma di benemerenza. Servono soluzioni fantasiose”. Il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha detto che i migranti rappresentano “una risorsa alla quale attingere dopo che si è esaurita la richiesta interna di lavoro”. La differenza è data dalle competenze di chi arriva? “Razionalmente, non è utile al sistema subire flussi di immigrazione in assenza di conoscenze basiche. Chi viene qui deve essere in grado di comprendere la lingua e il contesto. E’ importante selezionare chi arriva per rispondere alle esigenze effettive del nostro mercato del lavoro, per fronteggiare le carenze di manodopera in determinati settori. Quando parliamo di presenza straniera, parliamo anche di cinque milioni e 50 mila residenti che sono molto diversi da quelli che sbarcano a Lampedusa. Di questi, un milione e mezzo ha acquisito la cittadinanza italiana. Sono italiani a tutti gli effetti”.