Biblioteca dell'accademia della Crusca, dizionario Petrocchi. Foto Wikipedia 

la politica delle parole

I governi cambiano ma gli acronimi restano

Salvatore Merlo

Per Conte era “Rdc”, per Gentiloni “Rei”. Ma con Meloni diventa “Pal”, “Gil” e “Gal”

Fabio Rampelli voleva rendere più comprensibili le leggi e i provvedimenti impedendo l’uso delle parole straniere. Tuttavia a noi pare che le parole straniere siano talvolta l’unica cosa più o meno comprensibile della Pubblica amministrazione e del linguaggio legislativo. Prendiamo l’ultimissima notizia relativa al Reddito di cittadinanza, quello che il governo Conte chiamava “Rdc”  e che il governo Gentiloni, altro esempio di schiettezza espressiva, aveva all’incirca già introdotto (ma  battezzato col nome di “Rei”, che non è né la protagonista di Star Wars né la versione catanese di Ray Charles). Ebbene anche il governo Meloni ha dato il suo estremo contributo. Con una riforma. Che suona all’incirca in questo modo, state bene attenti: “Il Reddito di cittadinanza viene ora diviso in Pal, Gil e Gal  a cui si accederà attraverso la piattaforma Siisl da tradurre poi nel progetto Gol”.

Arrivati a questo punto riteniamo probabile che per formare un autore di acronimi legislativi ci voglia un allenamento che inizi sin dalla più tenera infanzia, in scuole apposite. Sarebbe altrimenti impossibile spiegare questa prodigiosa fioritura di talento (a volte di genio) che attraversa in maniera trasversale il nostro ceto politico e amministrativo: Aato, Aec, Avcp, Atem, Ato, Bat,Bit, Bod, Cimo, Cial, Cip, Dps, Dpr, Dpf,  Fsn, Fos, Fnps, Gpp, Gui, Ipl, Ires, Isee, Liveas, Pum, Put, Pul, Pai, Pci, Ruc, Ruc, Rd, Sis, Sit, Soa, Tari,  Trise, Tuir, Upi, Urp, Uo... E adesso anche “Pal”, “Gil” e “Gal”, che sembrano i tre elfi di Tolkien. Per raccapezzarcisi ci vorrebbe un nuovo  “Vli” (vocabolario della lingua italiana). E pare quel racconto di Ennio Flaiano, quando il vecchio che è andato a colonizzare la Luna ricorda senza rimpianto la Terra: “Troppi verbi, troppi concetti. Sulla Luna abbiamo una sola lingua. Per mangiare diciamo ‘gnam’, per bere ‘bomba’ e per dormire ‘dodò’”. Ciascuno di noi (idraulico, medico o banchiere) fa un mestiere il cui successo si basa anche sulla fiducia che gli altri hanno nella nostra capacità di avere opinioni chiare e di esprimerci in maniera comprensibile. Che sia incomprensibile lo stato, comincia a diventare un affare serio. E non è certo un caso se già nel 1993 Sabino Cassese, ministro della Funzione pubblica, riunì un gruppo di linguisti per dare alle stampe un dizionario utile, ma ampiamente disatteso, a tradurre in maniera comprensibile i testi delle leggi. Rampelli in fondo voleva dire questo, crediamo. Ma non se la doveva prendere con l’inglese: è l’italiano che non si capisce. 

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.