Perché si preannuncia un'estate di tensioni tra Roma e Bruxelles sul Pnrr

Valerio Valentini

Le lagnanze del governo Meloni sul Recovery viste dai funzionari della Commissione: "Non dovete spiegarci perché ritene le regole sbagliate, ma come intendete rispettarle". L'anomalia sui prestiti, le scadenze del RePowerEu, i ritardi sulla modifica dei progetti

Il cortocircuito sta tutto in uno scambio di battute. Più che una contestazione, la constatazione di uno sfasamento ideale, la distanza che c’è tra il governo sovranista e la Commissione europea.  “Ché insomma non ci aspettiamo che ci spieghiate perché le regole fissate per voi sono sbagliate, ci aspettiamo che ci diciate come intendete rispettarle”: questo è quello che delegati del governo italiani si sono sentiti dire dai funzionari di Bruxelles in una delle ultime riunioni operative sul Pnrr. Si discuteva, appunto, di parametri violati: quelli da cui dipende la certificazione degli obiettivi di dicembre, e dunque la rata da 19 miliardi. Ma le incomprensioni stanno anche altrove. E hanno a che vedere con un approccio, quello adottato da Raffaele Fitto, che agli occhi dei responsabili della Commissione appare, a un tempo, troppo politico e troppo poco.

Che “ci servirebbe più politica e meno burocrazia”, in effetti, è una convinzione che il ministro per gli Affari europei non nasconde, di solito. Non l’ha nascosta, ad esempio, giorni fa alla buvette di Palazzo Madama, quando un gruppo di senatori di FdI gli ha chiesto lumi sullo stato dell’arte dell’assessment sulla terza tranche di obiettivi, e lui, riferendosi alle obiezioni sul dossier del teleriscaldamento, ha parlato di “cavilli così oscuri e cervellotici che se la gente sapesse su che basi vengono assegnati o negati i fondi, si metterebbe le mani nei capelli”. E certo, anche a sentire i tecnici del ministero dell’Ambiente, si ha la sensazione di una disputa imprendibile perfino agli addetti ai lavori. Dunque forse Fitto non ha torto.

E tuttavia, lo stesso ministro che chiede un soprassalto di realismo politico agli algidi burocrati di Bruxelles, poi si appella alla “gerarchia delle fonti”, per spiegare che, nonostante le  linee guida varate il 1° marzo dalla Commissione suggeriscano agli stati membri di presentare le modifiche ai Piani  nazionali e i progetti del RePowerEu “entro due mesi”, in realtà la scadenza del 30 aprile “non è perentoria”, perché bisogna fare riferimento al Regolamento precedentemente stilato, che indica il termine effettivo a fine agosto. Sennonché entro fine agosto,  fanno notare a Bruxelles,  bisognerà discutere con tutti gli stati membri i dettagli delle  richieste, così da fare adottare al più presto, da parte del Consiglio europeo, le varie “Decisioni di esecuzione”, e firmare poi un accordo di finanziamento improrogabilmente entro dicembre 2023.
Insomma, quel che pensano i tecnici della Commissione è grosso modo questo: se il governo Meloni ci tiene a impuntarsi per dimostrare che si può davvero andare oltre il 30 aprile, faccia pure: i rischi sono tutti a carico dell’Italia, che avrà poi meno tempo per negoziare sull’attuazione dei nuovi progetti. E del resto,  i precedenti stanno lì a dimostrare che le lungaggini, quando si tratta di procedure legislative comunitarie, sono sempre incombenti: il Pnrr varato da Mario Draghi il 30 aprile venne ratificato da una Decisione di esecuzione il 22 giugno, per gli accordi finanziari operativi bisognò attendere il 22 dicembre.

 E non è detto che stavolta la negoziazione sui dettagli, benché più snella, sia più agevole. Perché il regolamento europeo parla chiaro: ogni cambiamento del Pnrr va motivato, e per ogni progetto sostituito bisognerà  indicare 1) se ci sono condizioni oggettive che lo rendono irrealizzabile; 2) in che misura quelle condizioni non andrebbero a inficiare l’esecuzione del nuovo progetto; 3) se e come, nella sostituzione dei progetti, gli obiettivi finali del Piano rispecchino nel complesso le Mission del Recovery. Insomma, nuovi cavilli e nuove astruserie, forse: ma è (anche) di questo che si nutre il dialogo con Bruxelles. Dove, a proposito di “deficit politico”, fanno anche notare la stranezza di un dibattito italiano che ha visto mezzo governo sollevare dubbi sull’utilità dei prestiti del Pnrr quando già, quello stesso governo, aveva già fatto informalmente richiesta di nuovi prestiti, e perfino meno convenienti di quelli originari del Next Generation Eu, per finanziare il RePowerEu. I colloqui di cui due giorni fa il commissario Paolo Gentiloni ha dato notizia, infatti, parlando di una “richiesta ancora generica” da parte dell’Italia, risalgono a marzo.

A Bruxelles, poi, attendono ancora di conoscere nel dettaglio le richieste di modifica del Pnrr italiano. “Non c’è fretta”, continua a suggerire Fitto. E però ieri Enzo Amendola, spiegando le ragioni delle fermezza del Pd nel richiedere chiarimenti al ministro, ha utilizzato un ragionamento che è lo stesso che circola anche dalle parti della Commissione: “Stiamo dicendo che alcuni progetti non sono realizzabili? Bene, siccome entro poche settimane dovremmo chiederne ufficialmente la sostituzione, a questo punto il governo dovrebbe già avere un elenco con nome, cose e città: e cioè un quadro esatto, cantiere per cantiere, di ciò che vogliamo modificare, e come, e con cosa”. Obiettivamente, non sembra si sia vicini a questo obiettivo. Né si ha ancora notizia, e Fitto non lo ha spiegato nel suo intervento di ieri alla Camera, del decreto attuativo della nuova governance, che va stilato entro il 25 aprile, e che definirà organigrammi e nomine nella nuova Struttura di missione per il Pnrr.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.