Servizi e servizietti
Il Nordio espiatorio. Ecco perché alla politica non interessa il caso Artem Uss
Il ministro della Giustizia accusa i giudici di Milano. L’opposizione accusa il ministro. Ma resta il fatto: qualcuno non vigilava
Un famiglio di Putin, il figlio di un ex governatore siberiano, ricercato negli Stati Uniti e accusato, tra le altre cose, di aver portato in Russia tecnologia militare rubata in America, sfugge alla giustizia italiana, al suo sistema carcerario e agli apparati di sicurezza. E che succede? Niente. A rendere bene l’idea di quale sia il grado d’interesse, allarme e consapevolezza è l’immagine dell’Aula della Camera praticamente vuota ieri pomeriggio. Non appena il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, fa il suo ingresso a Montecitorio per “comunicazioni urgenti” relative al torbido caso della fuga di Artem Uss, più della metà dei parlamentari presenti si alzano ed escono. Tra questi Giuseppe Conte ed Elly Schlein. D’altra parte sono le due passate, dopo il dibattito sul Pnrr è l’ora del supplì alla bouvette.
Carlo Nordio entra in Aula mentre tutti escono. Il ministro inizia a parlare al microfono, ma la voce è coperta da un brusio distratto. Gente che gioca sul cellulare. Due deputati del Pd scherzano e ridono in un angolo. Non si sono nemmeno seduti. Il presidente del Copasir, l’ex ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, si alza in piedi, li raggiunge, allarga le braccia. Labiale: dai su, fate silenzio. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, l’uomo che a Palazzo Chigi ha la delega ai servizi segreti, prende posto sui banchi del governo, anche questi mezzi vuoti. Alle spalle di Nordio c’è Luca Ciriani, ministro dei rapporti col Parlamento. In prima fila anche i sottosegretari alla Giustizia Francesco Paolo Sisto, Andrea Delmastro e Andrea Ostellari. Ma l’Aula sprigiona una noia di cancelleria provinciale infestata dalle mosche. I deputati del Pd sono venticinque su sessantanove. Quelli del M5s sono addirittura soltanto in sei, poi arriva anche Chiara Appendino. Sette. In un gruppo parlamentare composto da cinquantadue persone. Eppure questi politici, questi partiti, sono gli stessi che negli ultimi giorni, intorno al russo fuggito, si eccitavano sulle onde schiumose della radio e della televisione. Ben presto si capisce qual è il punto: usare questa faccenda di Artem Uss soltanto a scopo di politica interna. La guerra in Ucraina, il ruolo dell’Italia, la sua affidabilità e la sua eventuale porosità a infiltrazioni russe contano zero.
Nordio è sulla difensiva. Tutto il suo lungo intervento alla Camera è prigioniero della polemica politica tra lui, i magistrati di Milano contro i quali ha chiesto l’avvio di un procedimento disciplinare e le opposizioni. E verte, in soldoni, su un reciproco scambio di accuse intorno alla sottovalutazione del rischio di fuga di Artem Uss: di chi è la colpa se questo ricercato, sospettato di essere poco meno di una spia, stava ai domiciliari e non in carcere? E’ colpa di Nordio, dice il Pd, con Deborah Serracchiani. E’ colpa del tribunale di Milano che ha sottovalutato gli avvertimenti allarmati del dipartimento di giustizia americano, dice il ministro. Come se il punto fossero i domiciliari, e non il fatto che il russo è scappato perché nessuno lo controllava. Ma questo rimpallo bizantino sembra l’unica cosa che conti per la politica. La sinistra capisce che Nordio è debole, e forse persino un po’ isolato nel centrodestra che in realtà non lo ama per le sue posizioni garantiste e per l’annunciata riforma giudiziaria condivisa soltanto da Giorgia Meloni. Anche nel governo sembra preferiscano si parli del tribunale di Milano e di Nordio. Forse perché è meglio non farsi troppe domande sull’assenza dei servizi segreti (“ho letto articoli di stampa che li tirano in ballo, ma questa è soltanto una vicenda giudiziaria”, dice Carolina Varchi, deputato e responsabile giustizia di Fratelli d’Italia).
Ma è davvero possibile che il figlio di un uomo descritto dallo stesso Nordio come “amico di Putin” e “politico di primo piano”, un signore “accusato di traffico di tecnologia militare dal dipartimento della giustizia americano”, non fosse sorvegliato dai servizi segreti proprio in virtù della sottovalutazione del sistema giudiziario? Se i servizi non intervengono in autonomia, quando necessario, a che cosa servono? Davvero la sorveglianza di un prigioniero russo di “riconosciuta pericolosità” (parole di Nordio) era affidata al maresciallo e agli appuntati della stazione dei carabinieri di Basiglio, un comune di 7.970 abitanti in provincia di Milano? Alla Camera nessuno solleva nemmeno di striscio questi argomenti. L’Aula, vuota e sonnolenta, è concentrata (si fa per dire) sull’inafferrabilità bizantina delle procedure giudiziarie relative alla carcerazione preventiva. Si eccita e si accende, eufemismo, sulla questione che riguarda i poteri di Nordio e i presunti ritardi del ministero della Giustizia nel notificare ai magistrati certi elementi che potevano convincerli a considerare con più rigore il caso di Artem Uss. Ed è forte l’impressione, come sempre, che il bizantinismo nasconda il solito pasticcio italiano.
Quale rete di complicità ha permesso al figlio milionario di un oligarca russo che rischiava l’estradizione negli Stati Uniti di fuggire con documenti falsi, di liberarsi del braccialetto elettronico e di rispuntare dopo qualche giorno a Mosca ringraziando misteriosi “amici stranieri” che lo hanno aiutato a fuggire? Domande senza risposta. Alla sinistra interessa solo colpire Nordio, perché percepisce quanto il ministro garantista sia l’anello debole del branco di governo. E al governo, forse, sotto sotto, va bene così. Chissà che ben presto non si scopra che Nordio è in realtà sacrificabile. Il ministro espiatorio.