Giorgia Meloni con Ignazio La Russa (Ansa)

L'editoriale del direttore

Il 25 aprile spiegato con i nuovi fascisti. Così la destra può superare i propri tabù

Claudio Cerasa

La festa della Liberazione può essere un’opportunità per la destra per fare i conti con i propri fantasmi e mettere persino in difficoltà i suoi oppositori. Dal Cav. a Mattarella. Discorsi da imparare a memoria, con il cuore a Kyiv

Servono solo tre parole: resistenza, libertà, totalitarismi. C’è una via semplice, lineare, coraggiosa e non imbarazzante per far sì che la destra italiana affronti il prossimo 25 aprile senza contorcersi nelle sue contraddizioni ed evitando di seguire il poco fortunato modello La Russa, ovverosia non perdere occasione per dire, sistematicamente, la cosa sbagliata al momento giusto. In passato, lo sappiamo, la destra nazionalista ha trovato il modo di farsi notare in negativo, sul 25 aprile, cercando modi più o meno creativi per sfuggire da un imbarazzo evidente. Molti esponenti di Fratelli d’Italia, negli anni passati, hanno scelto in diverse occasioni di non partecipare ai festeggiamenti del 25 aprile, facendo di tutto per far sapere di voler considerare quella data una festa “divisiva” e tentando in tutti i modi di trovare strategie più o meno creative per avere un’altra storia da raccontare in occasione dell’anniversario della Liberazione dell’Italia. Anni fa, per esempio, Meloni propose di declassare il 25 aprile e il 2 giugno e di sostituirli con un’altra data di festa nazionale: il 4 novembre, l’anniversario della vittoria nella Grande guerra. Nel 2020, ancora, La Russa propose – provate a non ridere – di trasformare il 25 aprile in una data da celebrare in memoria dei caduti di tutte le guerre, “compreso il ricordo di tutte le vittime del coronavirus”. La destra nazionalista, negli ultimi tempi, per provare a non deludere il proprio elettorato estremista, ha cercato insomma di distinguersi dal “coro” dei partigiani della libertà, e ha evitato di seguire una strada che dovrebbe essere ovvia: usare il 25 aprile semplicemente per ricordare cosa ha combattuto l’Italia in quella stagione, cosa ha spazzato via e cosa ha sconfitto. Oggi, tuttavia, per la destra italiana l’occasione del 25 aprile potrebbe essere ghiotta, e non imbarazzante, per fare un salto nel futuro e dimostrare di non essere più ostaggio dei fantasmi del passato. Due consigli non richiesti per orientarsi. Uno di lettura e uno di analisi.

 

Il consiglio di lettura più bello è quello datato 2009, quando a Onna, in Abruzzo, Silvio Berlusconi usò parole perfette per spiegare cosa dovrebbe essere, per l’Italia, anche per quella di destra, la festa della Liberazione. Qualche assaggio per rinfrescarci la memoria: “Un impegno che ci deve animare – disse il Cav. – è quello di non dimenticare ciò che è accaduto qui e di ricordare gli orrori dei totalitarismi e della soppressione della libertà... A quei patrioti che si sono battuti per il riscatto e la rinascita dell’Italia va, deve andare sempre la nostra ammirazione, la nostra gratitudine, la nostra riconoscenza… I comunisti e i cattolici, i socialisti e i liberali, gli azionisti e i monarchici, di fronte a un dramma comune, scrissero, ciascuno per la loro parte, una grande pagina della nostra storia. Una pagina sulla quale si fonda la nostra Costituzione, sulla quale si fonda la nostra libertà…”. La cornice perfetta suggerita anni fa dal Cav. alla destra italiana per chiudere in un cassetto della storia i propri tabù, e le proprie ambiguità (il testo completo di quell’intervento lo trovate oggi tra i nostri inserti), offre la possibilità alla Meloni & La Russa associati di trovare un modo creativo, e sorprendente, per appropriarsi oggi del 25 aprile utilizzando una chiave diversa rispetto a quella che utilizzerebbe la sinistra.

 

E la chiave giusta da adottare, oltre a quella della difesa della libertà indicata da Berlusconi, è quella proposta un anno fa dal capo dello stato Sergio Mattarella. Quando in un grande discorso proprio sul 25 aprile osò proiettare la data della Liberazione non verso il passato ma verso il presente e il futuro. Disse Mattarella, ricordando che differenza c’è tra pace e resa, che “nella ricorrenza della data che mise fine alle ostilità sul territorio italiano viene un appello alla pace: alla pace non ad arrendersi di fronte alla prepotenza”. Disse Mattarella, rivendicando il diritto di usare anche le armi per difendere la libertà di un paese, come fecero i partigiani, che il 25 aprile si celebra anche un “popolo in armi” desideroso di “affermare il proprio diritto alla pace dopo la guerra voluta dal regime fascista”. Disse Mattarella, tirando una frecciata alle brigate arcobaleno, che il 25 aprile offrì anche un’altra lezione chiara “a chi manifesta disinteresse per le sorti e la libertà delle persone, accantonando valori comuni su cui si era faticosamente costruita, negli ultimi decenni, la convivenza pacifica tra i popoli”. Disse infine Mattarella, sfidando un pensiero non troppo minoritario purtroppo nell’opinione pubblica progressista del nostro paese, che “la libertà non è acquisita una volta per sempre e che, per essa, occorre sapersi impegnare senza riserve. Vale ovunque. In Europa come in Italia”.

 

Le parole di Berlusconi prima e di Mattarella poi offrono dunque a Meloni, e alla destra nazionalista, un’occasione prelibata per chiudere una stagione di ambiguità, la propria, e concentrarsi su nuove ambiguità, che esistono a sinistra, rispetto a chi non capisce che lo spirito della Liberazione che mosse i partigiani nel 1943 è molto simile a quello che muove oggi i patrioti ucraini. Che insieme con l’occidente libero combattono contro ciò che oggi in giro per il mondo ricorda di più i vecchi regimi fascisti: la Russia di Vladimir Putin (elemento che forse il centrosinistra dovrebbe ricordare quando accusa il centrodestra di essere ostaggio di un pensiero fascista: come si fa a essere fascisti mentre si difende la libertà di un popolo aggredito da un paese dominato da una cultura non diversa da quella che un tempo avevano i regimi totalitari?). E per farlo non basta molto. Basta spiegare con chiarezza che la resistenza di ieri contro i totalitarismi – una resistenza che fu non contro i “nazisti”, come spesso la nuova destra tende a dire quando deve parlare di quella stagione, ma anche contro i fascisti, e sarebbe bene ricordarlo – ci aiuta a capire il significato della resistenza di oggi contro i nuovi totalitarismi. Sono due resistenze diverse, ovviamente, ma sono due resistenze accomunate da un’unica idea trasversale: spiegare ai giovani cosa vuol dire oggi difendere la libertà dall’aggressione violenta dei nuovi totalitarismi. Viva il 25 aprile. Sarebbe ora anche a destra di urlarlo a squarciagola.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.