Ecco cosa ne sarà dell'impero del Cav.:"Succession" ad Arcore, tra fiction e realtà
Mentre Silvio Berlusconi sta meglio, la famiglia un giorno dovrà vedersela con il passaggio generazionale. Il futuro del Biscione come fosse la saga dinastica in onda su Sky
A volte finzione e realtà si sommano, si scavalcano, si accartocciano. Così magari vedendo una puntata di “Succession” su Sky e scanalando senza accorgersene, ci si imbatterà nelle immagini reali dei figli Berlusconi che sfilano al San Raffaele in visita al padre, scendendo dai Suv e dalle berline blindate, in un’estetica molto simile a quella dei figli Roy, dinastia immaginaria dei media nella grandiosa serie tv prodotta da Hbo.
Come Fantozzi davanti alla tribuna elettorale scivola nei canali di intrattenimento, si è confusi, il cervello va per conto suo… allora, per gioco, ecco una “Succession” della nostra dinasty arcoriana, anche se il Cav. si è rimesso e di eredità se ne riparlerà tra anni. Tra l’altro, si sa, “Succession” è ispirata alla vera famiglia Murdoch, e il vero Murdoch è sempre stato interessato a comprarsi Mediaset. Nel giugno 1995 con Berlusconi furono a un passo dalla firma del contratto. Ad Arcore ci fu un fatale incontro dei due tycoon: il Cav. era già in politica da un anno e mezzo, aveva vinto le elezioni e poi era caduto dopo nove mesi, era ora sotto attacco per i conflitti di interessi e cedere le tv all’imprenditore australiano era sembrata una soluzione risolutiva. Poi non se ne fece nulla, e non se ne fece nulla nemmeno nel 1998, e allora Berlusconi disse che si era ricreduto “per Marina e Pier Silvio che si sono inseriti così bene in azienda”. Ecco, i figli, centrali in “Succession” e anche ad Arcore. Se nella finzione Hbo abbiamo quattro eredi sfessati, devastati dall’amore-odio per il padre-padrone, ad Arcore le cose son ben differenti. Eppure la questione si pone.
Il giorno lontano, lontanissimo, della successione, che accadrà? Pier Silvio, a capo di Mediaset, come Kendall, l’erede di “Succession”, non vuole vendere; ama il suo lavoro, il suo ufficio nel palazzetto centrale di Cologno Monzese, dove, racconta chi c’è stato, l’enorme divano a U accoglie il visitatore dopo un portoncino blindato e poi una porta di mogano. Pier Silvio-Kendall è poi sempre in dubbio tra il seguire le orme paterne o cambiare la “cultura aziendale”, come dicono a ripetizione i Roy. Adesso è in piena fase purificatoria, un rehab dell’etere che è cominciato, si dice, con la sterilizzazione di Barbara D’Urso, e una generale disinfestazione dal trash più spinto (con conseguente lavacro al Gf Vip e bocciatura di candidati fosforescenti a “L’Isola dei famosi”). Pier Silvio-Kendall fu protagonista il 12 settembre 2018 del lancio della nuova Rete 4. La presentò al Centro di produzione televisiva del Palatino a Roma, già colle sacro al trash innocente delle ragazzine di “Non è la Rai”. Egli voleva cambiare la rete, voleva fare una Cnn italiana. Poi però qualcosa è andato storto (oppure il contrario, dipende dai punti di vista) e la Cnn è diventata la Fox. Non si sa e pare improbabile che Pier Silvio si sia messo su un predellino come Logan Roy nell’episodio 2 della quarta stagione per dire che adesso “dobbiamo ammazzare la concorrenza”, “siamo pirati”, proprio come il Murdoch vero quando rilanciò la rete di famiglia (episodio ripreso in pieno nella serie, e pare che certi momenti, certi dettagli, siano insufflati alla produzione direttamente dai figli Murdoch). Quel giorno, al Palatino, la placida rete un tempo famosa per i “Bellissimi” e “Dynasty” diviene la Fox del sovranismo meloniano (ante litteram). Anche lì, i figli hanno nutrito dubbi. Pier Silvio voleva forgiare tanti Mentana, son venuti fuori tanti Funari. Però anticipando i tempi: non c’è dubbio che Rete 4 è forse il canale che è oggi più in linea con lo spirito meloniano del paese. Una tv popolare, sguaiata, efficace (una tv anche che “costa poco, fa rumore, funziona”, raccontano al Foglio, “insomma il contrario della tv di Giletti”).
Il melonismo sta al retequattrismo come il berlusconismo stava a Canale 5, la “rete ammiraglia”. Col Tg di Mentana, appunto. E se il melonismo è lo stadio avanzato del berlusconismo, lo è più ancora per l’uso dei media che non per la politica. Tra l’altro il melonismo nasce televisivo: il compagno di Meloni, Andrea Giambruno, prima autore e poi giornalista tv, secondo le indiscrezioni è pronto a condurre un talk proprio su Rete 4. La loro è una storia d’amore tutta targata Mediaset. Raccontano di un festival culturale a Santa Margherita Ligure, anni fa, alla presenza della moglie del governatore della Liguria Giovanni Toti, Siria Magri. Il nome non dirà granché, ma tra gli addetti ai lavori è nota come co-direttrice dell’informazione Mediaset e autrice dei programmi più foxiani, da “Quarto Grado” a “Quinta Colonna”. Lì, a quel festival, Meloni e il compagno e la loro bambina allora piccola erano trattati come ospiti di grande riguardo; e pare di essere nella puntata 6 della terza stagione di “Succession” dove si scelgono i presidenti. Lì al raduno super repubblicano la figlia Shiv, l’unica femmina, che ama la politica, vagamente di sinistra, ha dubbi sull’endorsare un candidato troppo trumpiano (come oggi Pier Silvio sarebbe dubbioso sulla estrema foxizzazione delle reti di casa, anche visto quello che sta passando il vero Murdoch a posteriori).
Santa Margherita con Portofino è luogo caro a Pier Silvio-Kendall, è dove abita la compagna Silvia Toffanin, che lui raggiunge appena può con la sua Rolls cabrio da Arcore, dove risiede, vicino al padre. Che a differenza di Logan Roy i figli li adora, ri-adorato. Al contrario di Berlusconi, Logan Roy-Murdoch un partito non l’ha mai fondato in prima persona, preferendo scegliersi i presidenti à la carte (ultimamente ha scaricato Trump appoggiando invece il governatore della Florida Ron DeSantis). Sappiamo com’è andata invece da noi. “Forza Italia non costa molto, diciamo che negli ultimi anni è diventata autonoma, si automantiene”, racconta una fonte di partito al Foglio. “Però col tempo ovviamente c’è un’erosione del capitale”. Il capitale è quello messo dal Cav., con la favoleggiata fidejussione bancaria da cento milioni, la stessa cifra che Connor Roy, il figlio più grande di “Succession” mette sul tavolo nella sua inopinata corsa alla Casa Bianca. “Tanto rimarremo comunque ricchi”, risponde a chi gli chiede di quella impresa demenziale. Ma nella realtà, agli eredi del Cav., risparmiarsi le spese della politica non farebbe male in un futuro lontano. Anche perché, se tornare agli splendori del 30 per cento pare impossibile, per avere un partito dell’8 costa davvero troppo, ragiona Marina, che come la Shiv di “Succession” è donna di prodotto e di raziocinio, attenta a tutto. In comune con la versione cinematografica ha la passione per la carta stampata (ma più per i libri: racconta un manager di Mondadori che ai consigli di amministrazione lei richieda ai suoi capi editoriali dei titoli nuovi assolutamente da leggere e poi si faccia trovare preparata la volta dopo). Nella fiction Shiv ha un marito viscido e arrampicatore che cerca di scalare l’azienda, non è paragonabile insomma a Marina Berlusconi, all’anagrafe Maria Elvira, nata del ‘66, alla guida appunto di Mondadori, e ogni tanto negli anni “sondata” dalla politica come possibile erede. Se ne parla almeno dal 2013, “un’intenzione che non ho mai avuto e che non ho”, disse lei. Le stesse voci si sono ripetute nel 2017. E ancora una volta lei ha smentito: “Penso che la leadership in politica non si possa trasmettere per investitura o per successione dinastica”. Marina è la più interessata al “lato azienda” e a mettere in sicurezza i conti. Il padre la vuole proteggere ed è in questa luce, raccontano al Foglio, che va letta la decisione di vendere anche il Giornale. Ultimo tassello di una strategia decisa da Logan/Silvio: cioè sbolognare tutti gli asset problematici – leggi, informazione stampata – lasciando alla figlia solo i libri di Mondadori, che sono il business più redditizio e stabile (anche le riviste del gruppo sono state cedute negli ultimi anni). Marina in un certo senso è la vera erede, è quella che decide, spesso dietro le quinte, e non ama apparire. Ma decide, nel nome del padre. C’è lei per esempio dietro l’affondamento di Licia Ronzulli, fino a qualche mese fa plenipotenziaria del Cav., ma rea di non aver portato a termine gli ordini (leggi: i ministri desiderati, e la giunta desiderata in Lombardia). E c’è Marina dietro la nuova fidanzata del Cav., quella Marta Fascina che le è amica da tempo, Fascina dai capelli turchini accanto a cui, nel finto matrimonio del Cav., Marina siede, pur con una comprensibile perplessità nello sguardo. Ma è il matrimonio di Marina che va piuttosto raccontato. Qui gli sceneggiatori di “Succession” dovrebbero inchinarsi alla realtà brianzola. Il matrimonio di Shiv nella fiction è notevole, nel castello inglese della madre, prima moglie del patriarca. Ma Arcore è meglio.
Racconta chi c’era che alle undici di mattina, ora della cerimonia, del 13 dicembre 2008, Berlusconi si presentò tutto pimpante raccontando agli invitati che veniva da una notte in bianco con l’allora presidente francese Sarkozy; avevano fatto, dopo una cena di Stato, una gara a chi si addormentava più tardi, e Berlusconi aveva fatto proprio “il dritto”. Arrivato in villa, salutati gli invitati, andò diretto nelle cucine a ispezionare che fosse tutto a posto (in questo il Cav. è anche un po’ Connor. Il problema del Cav. è che è tutti i personaggi di “Succession” insieme). Quando finalmente ha luogo la cerimonia religiosa, nella cappelletta di famiglia celebre per i sacelli, Berlusconi accoglie gli ospiti e dal pulpito comincia una specie di messa, al ché il prete non senza imbarazzo gli ricorda che eh, almeno quella spetterebbe a lui. Durante la colazione Berlusconi tiene banco ed è lui a tagliare la torta nuziale della figlia. Alle 17, quando gli ospiti stravolti son pronti a tornare a casa, intima: fermi tutti, dove credete di andare. Adesso andiamo a villa Gernetto (la villa brianzola a Lesmo che aveva comprato e ristrutturato per ospitarvi l’Università del liberalismo). Si crea un corteo di auto e poi una volta lì lui si butta in una approfondita visita guidata.
Nonostante questo happening, chi la conosce bene assicura che Marina viva un rapporto “devozionale” col padre, che considera un grande della terra, che nomina raramente, solo quando è necessario, appellandolo “il mio papà”. Foto paterne incorniciatissime sono in bella vista in tutte le residenze, sia in quella di corso Venezia a Milano sia in quella in Provenza, dove il Cav. era andato a fare il lockdown. Col suo sposo, il ballerino classico Maurizio Vanadia, Marina ha avuto due figli, Gabriele e Silvio, che, raccontano, hanno ereditato il talento pianistico dal nonno (Silvio jr. è nato anche lo stesso giorno, il 29 settembre).
Non mancano, nella “Succession” arcoriana, i dettagli per cui è famosa la fiction Hbo, gli aerei, le auto, le case (le case del Cav. arredate coi pezzi comprati alle aste di notte, al telefono, oppure con consulenti come Giorgio Pes, già arredatore del Gattopardo, che fece via del Plebiscito a Roma). E poi gli elicotteri, sempre bianchi, dove quelli di “Succession” sono neri. Il Cav. ha sempre avuto la passione; tutti si ricordano il 18 luglio 1986 quando, acquistato il Milan, atterrò all’Arena civica di Milano gremita dai tifosi a bordo di un candido Agusta, mentre gli altoparlanti erano stati preparati a suonare a tutto volume la Cavalcata delle Valchirie come in “Apocalypse Now”, tra gli striscioni “Grazie Silvio” e il pubblico in deliquio. Per quanto riguarda gli aerei invece recentemente l’industriale Merloni ha ricordato un episodio sommamente berlusconiano. “Una volta comprammo un aereo insieme dall’imprenditore Borghi. Silvio mi disse: ‘Franco, questo aereo andrebbe valorizzato, verniciamolo. Ci penso io’. Qualche giorno dopo andai in aeroporto: l’aveva tappezzato con il simbolo del Biscione”. Come Logan, anche Silvio ha un fratello che se ne sta un po’ in disparte, Paolo. A differenza della fiction però Paolo non lascerà tutti i suoi averi – per quanto si sappia – a Greenpeace. Lo si è visto pimpante anche negli ultimi giorni, rispondere ai giornalisti, e in particolare a una giornalista che gli faceva una domanda sullo stato di salute di Silvio, e lui: “se mi dai il tuo numero te lo dico!”.
Il cugino Greg, il lontano parente che dal nulla arriva e si piazza in mezzo alle faccende familiari, dimostrando enorme affetto per quei parenti così distanti e così ricchi, potrebbe essere il leggendario Orazio Fascina, il papà della pseudomoglie Marta, che presidia il San Raffaele da giorni e – raccontano – chiama il Cav. affettuosamente “papà”. Marta Fascina, la pseudo moglie, è un po’ Kerry Castellabate, l’assistente con la frangetta che diventa la fidanzata di Logan Roy (nella finzione prova a sfondare anche nel video, per ora Fascina si è astenuta). E Carl e Frank, i due grand commis che seguono Logan Roy dalle origini, sono chiaramente Fedele Confalonieri e Gianni Letta, è facile.
Alla fine, ripensandoci, Shiv potrebbe essere l’ex moglie Veronica Lario, vero nome Miriam Bartolini, che a un certo punto flirtò con le opposizioni, con la famosa lettera del “Drago”. Era il maggio del 2009 quando scrisse una lettera a Repubblica in cui accusava “figure di vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo, la notorietà e la crescita economica”. Poi decise di chiedere il divorzio “con addebito” e intanto si narrava di gossip a sinistra (con Massimo Cacciari, addirittura, che è stato professore della figlia Eleonora, ma il professore disse di non aver mai visto in vita sua la signora Lario).
I figli di Silvio con Veronica non hanno un corrispondente nella finzione cinematografica. Barbara ed Eleonora, dicono, hanno ereditato l’esuberanza paterna, parlano volentieri di tutto, anche di sesso, col patriarca. Aleggia il tic di famiglia della chirurgia plastica. Poi c’è Luigino, bellissimo, religiosissimo, indipendentissimo, che investe per conto suo. I figli di Veronica in generale non gestiscono (tranne una breve parentesi di Barbara al Milan) e sarebbero ben contenti di vendere, andando all’incasso. Forse anche un po’ sollevati di vedere i fratelli più grandi privati del loro status dirigenziale, che ai più piccoli è negato, insinua qualcuno.
Sì perché alla fine, oltre al rapporto col patriarca, vendere o non vendere è il centro della questione, nella realtà come in tv. Murdoch ai tempi non riuscì a comprare il Biscione, anche se aveva messo sul piatto 7 mila miliardi di lire (3,5 miliardi di euro) per il 50,6 per cento di Mediaset. Invece a un certo punto il Cav. ha visto un altro rivale assaltare la sua società: non un australiano bensì il bretone Vincent Bolloré, patron di Vivendi, che approfittando dei guai anche di salute del Cav. (come nella serie!) è arrivato ad accumulare fino al 29 per cento di Mediaset. Non si sa adesso cosa farà Bolloré, già alle prese col suo investimento nella Tim, però con la sua aria stazzonata chic assomiglia un po’ a Sandy Furness, l’ambiguo azionista-rivale dei Roy che a ogni occasione tenta di soffiargli la compagnia. E il feroce investitore arabeggiante Stewy Hosseini? Potrebbe essere il vecchio sodale Tarak Ben Ammar.
In definitiva però, dice un conoscitore della famiglia appassionato della serie, “con Succession la saga di Arcore non ha davvero nulla in comune. Perché la vicenda Hbo è basata sul conflitto, mentre in quella berlusconiana sembra che il conflitto sia completamente assente, o perlomeno non percepibile”. Nella saga di Arcore manca anche il conflitto su chi sarà a prendere le redini dell’impero, ingrediente primario di “Succession”, dove l’erede designato cambia di ora in ora ed è il meccanismo narrativo che ti impedisce di cambiare canale. Nella saga arcoriana si sa che, comunque vada, l’epopea berlusconiana finirà con lui. Lo scettro politico e quello imprenditoriale saranno sepolti con lui, sempre nella cappella di famiglia ad Arcore. E anche quella volta tenterà di celebrare lui la messa, c’è da scommetterci.