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Luci e ombre

La vittoria dell'antifascismo è avere una destra democratica al governo

Claudio Cerasa

Le polemiche sul 25 aprile, comfort zone della politica italiana, e un bilancio del governo Meloni, che si rivela mainstream sul debito, sul deficit, sulla Nato, sull’Ucraina, in alcuni casi perfino sull’immigrazione. E potrebbe esserlo anche sul Pnrr

I fatti, non le chiacchiere: l’esame del sangue del governo in fondo è tutto lì. Le celebrazioni del 25 aprile, ormai da anni, sono la perfetta comfort zone della politica italiana. Ciascun partito le usa per dimostrare quello che pensa sia più urgente far emergere dell’identità del partito rivale e il giochino è ormai collaudato. Il fronte progressista, inserendo il pilota automatico, utilizza da tempo le celebrazioni del 25 aprile per affermare l’evidente consuetudine della destra con il fascismo.

   

Il fronte conservatore, inserendo a sua volta il pilota automatico, utilizza invece le celebrazioni del 25 aprile per mettere in evidenza i totalitarismi che il fronte progressista non riesce a condannare come potrebbe. Il merito conta poco, conta la rappresentazione, e il rafforzamento della comfort zone viene spesso favorito, come quest’anno, dal riflesso pavloviano della destra, impegnata notte e giorno a denunciare la presenza di fascisti in ogni dove (ricordate la favola “Al lupo al lupo” di Esopo? Ecco) e dalla difficoltà simmetrica con cui la destra si occupa con eccessiva superficialità dei suoi “Dottor Stranamore” (ricordate la sindrome della mano aliena del protagonista del film di Stanley Kubrick? Ecco).

  

L’ex direttore di Repubblica, Ezio Mauro, ieri, a questo proposito, ha scritto un duro editoriale per denunciare “come l’atteggiamento della destra sul fascismo sia rivelatore della sua concezione della democrazia” e per affermare che “non si può governare il paese e scegliere un altrove rispetto alla democrazia”. Quello che però a Ezio Mauro sfugge è che la grande differenza tra la stagione in cui il centrosinistra metteva in guardia gli elettori dalla presenza minacciosa nel paese di una destra pronta a portare al governo una cultura fascista e la stagione di oggi è che il limite di queste argomentazioni è aver scoperto che il lupo non era lupo, anche se a volte perde il pelo ma non il vizio, e che la creatura politica che si trova in questo momento a guidare l’Italia ha certamente molti difetti ma non quello di aver utilizzato i suoi primi sei mesi di potere per, proviamo a riassumere velocemente il pensiero dell’indignato collettivo, “cancellare la resistenza”, “combattere l’antifascismo” e “instaurare nel paese un nuovo regime fascista”.

 

Gianfranco Rotondi, vecchia volpe democristiana, ha scritto qualche giorno fa che “la vittoria dell’antifascismo è la destra democratica al governo e che chi non lo vuole capire è assolto per non aver compreso il fatto”. Rotondi ha ragione. L’antifascismo ha contribuito a creare una destra che negli armadi ha certamente molti scheletri appesi alle grucce, e qualche busto del Duce custodito nel proprio soggiorno, ma che nei fatti si comporta come una forza politica che ha scelto di squadernare nella sua azione di governo un’agenda ambiziosamente mainstream.

   

Il governo Meloni è mainstream sul debito, è mainstream sul deficit, è mainstream sulla Nato, è mainstream sull’Ucraina, in alcuni casi è perfino mainstream sull’immigrazione, a certe condizioni potrebbe essere mainstream anche sul Pnrr, se prevarrà la logica del presidente del Consiglio di “non sprecare un solo euro del piano”, potrebbe diventare mainstream anche nelle alleanze a Bruxelles e se oggi riuscirà, con i suoi ministri, con i suoi politici, a scandire con forza l’espressione “nazifascismo” per celebrare la festa della Liberazione potrebbe riuscire a fare quello che oggi alla sinistra non sembra riuscire particolarmente bene: proiettare il 25 aprile nel futuro, e non nel passato, facendo propria la lezione della senatrice Liliana Segre, che due giorni fa, in una splendida intervista al Corriere, ha detto una frase che oggi potrebbe essere applaudita più dalla destra che dalla sinistra: “Sarebbe difficile in un anno come questo intonare “Bella ciao” senza rivolgere un pensiero agli ucraini che nelle scorse settimane si sono svegliati e hanno ‘trovato l’invasor’”. I fatti, non le chiacchiere: l’esame del sangue del governo in fondo è tutto lì. Buon 25 aprile a tutti.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.