Il racconto

Lo strano 25 aprile con Meloni premier, tra messaggi e opposizioni non belligeranti

Simone Canettieri

La presidente del Consiglio scrive al Corriere contro le nostalgie fasciste. Plauso di Conte e Calenda. E Schlein non l'attacca. Intorno un'aria sospesa con chi augura per la prima volta "buona Liberazione"

“Buon 25 aprile”. Di prima mattina, appena aperti gli occhi, arrivano su WhatsApp inediti messaggi da conoscenti impensabili. Non si sa cosa rispondere. Andrà bene un natalizio e spiritoso “anche a te e famiglia”? Oppure il silenzio, con doppia spunta blu, riecheggerà come un richiamo del corno di Colle Oppio (dentro FdI i più irriverenti e nostalgici fino a poco tempo ti auguravano “buon San Marco”, santo del giorno). Nel dubbio girano anche emoticon con il pugno chiuso. Che fare: contraccambiare o salutare con la manina? E’ il primo 25 aprile con al governo la destra-destra, e dunque qualche problema di postura c’è. La brechtiana parte del torto ha tutti i posti liberi, per fortuna. Tuttavia in serata bisogna registrare che la lettera di Giorgia Meloni al Corriere tra  ammissioni con verbi figurativi    (“noi incompatibili con il fascismo che conculcò valori democratici”) e rilanci identitari sulle patenti democratiche riscuote il plauso di Carlo Calenda e Giuseppe Conte. E la non belligeranza di Elly Schlein.

 
Sopra a tutti c’è Sergio Mattarella che, da custode della Carta, cita Calamandrei e dice ciò che i leader delle opposizioni non chiedono (o forse ci rinunciano o forse si accontentano) alla premier. E’ perfetto e chirurgico: “La Costituzione è figlia della lotta antifascista. Ora e sempre resistenza”.  La giornata particolare di Meloni dura una decina di minuti, quelli della cerimonia solenne all’Altare della patria con il capo dello stato e le alte cariche. La seconda, Ignazio La Russa, prima di volare a Praga per onorare Jan Palach, cerca con lo sguardo i microfoni e le telecamere, ma poi se ne sta nella sua grisaglia senatoriale. Nessun ulteriore fuori programma: già dato, digiamo. I cronisti si attaccano a un misurato e rapido abbraccio con la premier. Finito. A piazza di Pietra, spunta per un caffè Carlo Calenda, prima di andare alla manifestazione del suo Terzo polo al Pantheon, con tanto di renziani pacificati. “Condivido le parole della premier, molto meno quelle di La Russa dei giorni scorsi che andrebbe cacciato da Palazzo Madama. Basta con questa storia del pericolo fascista, pensiamo al Pnrr e alla guerra in Ucraina visto che la sinistra spinge per il disarmo contro l’invasore, altro che resistenza”.

Per mandare di traverso il caffè a Calenda basta parlargli di Matteo Renzi che il primo giorno di legislatura in Senato è riuscito a dare i voti mancanti a La Russa per essere eletto. “Grazie a un accordo con la Santanchè, ma abbiate pietà, voglio parlare di politica”, dice l’ex ministro, a dieta anche di cattiverie. Al museo della Resistenza, in via Tasso, con la proverbiale calma, ecco Giuseppe Conte. “Mi sembra che da Meloni ci siano le premesse per una festa condivisa, finalmente”, dice il leader del M5s. Mentre parla, una signora gli sussurra con garbo in un orecchio: “Ma come fate a essere né di destra né di sinistra? Dovete schierarvi”. E l’ex premier, sorriso da fossette e denti che era da pubblicità: “Ma signora, quella era un’altra fase. Adesso siamo nel campo progressista. Ha letto la nostra carta dei valori?”. La passante annuisce per cortesia, e se ne va. E poi Conte riprende contro il governo che “perpetua l’escalation militare in Ucraina”. E con Luigi Di Maio, neo inviato Ue nel Golfo (“è la metafora della logica perversa del potere”). Insomma, si parla d’altro e si divaga come si può. Intorno i bimbi di una scuola elementare del quartiere Esquilino intonano “Bella ciao” con i genitori in versione Beppe Vessicchio. Atmosfera giusta.


Il nostro pezzo però non decolla, e non si piega. Voce fuori campo dalla redazione: “Aspettiamo: alle 15 la Schlein è al corteo di Milano”. Elly canta “Bella ciao”, anche lei. Tiene lo striscione “Nata dalla Resistenza”. Foto a effetto. Messaggio nella chat pd dei giornalisti: “Punto stampa a Piazza Duomo alle spalle del palco, dietro le transenne, fra circa 20 minuti”. Le agenzie non riportano titoli clamorosi, nemmeno un take con le crocette, di quelli che destano attenzione. “Meloni? Oggi onoriamo la Resistenza. Chi fa politica onori la memoria e la proietti nel futuro. Siamo qui grazie alla Resistenza antifascista”. I sindaci di Roma e Milano, Roberto Gualtieri e Beppe Sala, suonano in compenso la sveglia. Dov’è Meloni? E’ stata in famiglia: sarà andata a pranzo ad Anzio, unendo trionfi di scampi e gloria per lo sbarco? A Palazzo Chigi gongolano: “Che operazione con la lettera: tutti spiazzati”. Resta un dubbio: cosa rispondere ai messaggi: sarà troppo tardi ormai?
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.