l'intervista

"Questo Patto di stabilità accoglie le richieste dell'Italia. E ora avanti col Mes". Parla Dombrovskis

Valerio Valentini

Il focus su riforme e investimenti. "I piani di rientro dal debito saranno più graduali e credibili, e gli stati membri avranno maggiore spazio di manovra". Il Fondo salva stati? "Saremmo felici se l'Italia lo ratificasse, perché sta bloccando altre misure". Intervista al vicepresidente della Commissione

Che possa valere ad archiviare la decennale guerriglia tra nordici micragnosi e sudisti spendaccioni, sarebbe velleitario pensarlo. E infatti Valdis Dombrovskis, col solito piglio misurato, lettone frugale anche nell’eloquio, si limita a dire che “è una proposta equilibrata”. La proposta è quella della Commissione Ue sul nuovo Patto di stabilità e crescita. Che per Berlino, manco a dirlo, è troppo lasca: il ministro delle Finanze  Lindner già minaccia le barricate. E per l’Italia? “Non so ancora come verrà commentato questo nuovo pacchetto di regole”, prosegue il vicepresidente della Commissione. “Ma col ministro Giorgetti sono in contatto costante, e credo ci siano molti elementi che vanno incontro alle sue aspettative”. Ci arriviamo. Prima, però, c’è da mettere a verbale l’ennesima bacchettata sul Mes: “E’ il caso di ratificare”.

C’è davvero fastidio, dunque? Vanno davvero prese per quello che appaiono, le dichiarazioni dei funzionari dell’Eurogruppo per i quali “la mancata ratifica del Mes blocca qualsiasi discussione su nuove misure”? Dombrovskis, seduto dietro alla sua scrivania, pesa bene le parole. “Be’, fastidio… Diciamo che saremmo molto felici se finalmente il trattato venisse ratificato, visto che introduce molti nuovi utili strumenti per potenziare il quadro generale delle regole finanziarie”.

Le regole, appunto. Quelle introdotte per riformare il Patto di stabilità e crescita prevedono un parametro – un “aggiustamento fiscale” di mezzo punto di pil per i paesi maggiormente indebitati – che per l’Italia può significare 10 miliardi di minore spesa o maggiori entrate all’anno. E’ questo, dunque, l’obolo pagato per stiepidire le rimostranze di Berlino? “Dell’introduzione di un parametro specifico si era parlato già nell’Ecofin dello scorso mese, e c’era stato un consenso generale. La nostra è una proposta: tutti gli stati membri sono incoraggiati a intervenire nel dibattito, e spero lo facciano nell’ottica di un compromesso costruttivo”. In Italia c’è chi protesterà per questo residuo di austerity. “Non ho ancora ricevuto riscontri dal governo italiano. So però che le richieste di Roma vertevano su una maggiore discrezionalità e un maggiore margine di manovra dei singoli stati membri nel definire il loro percorso di riduzione del debito. E quello elaborato dalla Commissione è obiettivamente un sentiero molto più graduale e realistico di quanto non lo fosse quello finora in vigore che prevedeva il taglio di un ventesimo del debito pubblico annuo. E del resto, abbiamo tratto ispirazione dalla logica del Next Generation Eu, di cui proprio l’Italia è la maggiore beneficiaria. Sarà, cioè, lo stato membro a concordare un piano di riforme e di investimenti della durata di quattro anni, con la possibilità di avere piani ancora più progressivi, fino a sette anni. I piani dovranno essere approvati dal Consiglio europeo e impegneranno i governi lungo quella che noi definiamo una ‘traiettoria tecnica’ di riduzione del debito”.

Una traiettoria che marca un percorso stringente e obbligatorio? “No, non obbligatorio, ma significativo. Nel senso che quella traiettoria, elaborata sulla base di analisi condivise tra la Commissione, le istituzioni finanziarie europee e lo stato membro, verrà presa come riferimento in caso di mancata attuazione di riforme e mancata ricezione delle raccomandazioni. E dunque verrà chiesto al governo di giustificare questo disallineamento rispetto agli impegni presi, ed eventualmente verrà accorciata la parabola, chiedendo di rispettare gli obiettivi finanziari in modo più stringente, per evitare una procedura d’infrazione”.

Ci sarà più spazio, dunque, per la negoziazione politica tra Commissione e governi? “In una certa misura, sì. Si farà riferimento a parametri comuni, ma si terrà conto delle specifiche caratteristiche del singolo stato membro. E questo è un grande cambiamento. Il tutto in assoluta trasparenza e sulla base di un principio di eguaglianza nel trattamento dei vari paesi. Del resto, le regole in vigore finora, che avrebbero dovuto applicarsi a tutti gli stati in modo indistinto, hanno dimostrato la loro scarsa efficacia”.

Confida, dunque, che il compromesso reggerà e un’intesa verrà trovata entro fine anno? “Lo spero, certo. Avvieremo subito i confronti con tutti i ministri competenti. E’ chiaro che, fintantoché le nuove regole non vengono varate, resteranno in funzione quelle attuali”. Per cui nel 2024, con la sospensione della clausola d’emergenza, si ritornerebbe al vecchio Patto di stabilità? “Al momento non avremmo altre regole. Ma da parte nostra c’è l’intenzione di elaborare una soluzione ponte, che comunque non potrà che essere in sintonia con le regole attuali, per dare garanzie ai paesi membri che entro l’autunno dovranno definire il loro quadro finanziario per l’anno prossimo”.
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.