i problemi nel governo
Il ko del governo fa infuriare Meloni: "Questi non si rendono conto!". Guerra di sospetti sulla Lega
La maggioranza scivola sullo scostamento di bilancio, la premier da Londra in pubblico minimizza, ma in privato vede complotti interni. Nel mirino i 25 assenti non giustificati: 11 sono del Carroccio
Fumo di Londra sulla Camera. Mentre lei – Giorgia Meloni – è al numero 10 di Downing street, loro – i partiti della sua maggioranza – le fanno uno scherzetto niente male: vanno sotto sullo scostamento di bilancio. Un voto che serve al governo per annunciare nel Consiglio dei ministri del 1° maggio il taglio da 3 miliardi di euro del cuneo fiscale. Doveva essere la mossa anti Concertone, ma alla fine a essere suonato è il centrodestra. “Questi non si rendono conto!”, è lo sfogo privato della premier che preferisce all’inizio non commentare pubblicamente la figuraccia.
Com’è normale che sia uno scivolone del genere rianima le opposizioni. Il M5s, con Michele Gubitosa, invita Meloni “a salire al Colle”. Dunque a dimettersi. Addirittura Elly Schlein (assente) prende colore, forse per merito anche dell’armocromista, e si esibisce in una dichiarazione. Merce rara, dunque da registrare: “Il governo è inadeguato e dovrà risponderne davanti al paese: siamo al dilettantismo, il problema è che lo pagano l’Italia e la sua credibilità”.
Meloni non può leggere questo incidente in versione minimalista. Come “un mix di leggerezze e superficialità”. Scacciando i cattivi pensieri, che invece mastica. “E dunque – dirà poi pubblicamente – è stato un brutto scivolone, ma nessun segnale politico della maggioranza. Il Cdm del 1° maggio è confermato”.
La leader capisce che la sua visita a Londra è stata macchiata da Roma, nel perfetto sincronismo del gatto assente e dei topi che ballano. “E’ stato un eccesso di sicurezza”, ripete. Ma mai come questa volta deve dissimulare. Cosa è successo? Serviva la maggioranza assoluta per dare il via libera allo scostamento: 201 voti, ma il presidente di turno dell’Aula, Fabio Rampelli, è stato costretto a fermare il pallottoliere a 194. Un precedente simile anche i più vecchi commessi della Camera non riescono a ricordarlo.
Effetti collaterali del nuovo Parlamento ridotto nel numero dei posti, ma pesano le assenze. Al governo mancheranno infatti 45 parlamentari: 17 di questi in missione (che nel caso del voto sullo scostamento non fanno abbassare il quorum) e 25 assenti non giustificati. Di questi 11 sono della Lega, 9 di Forza Italia e 5 di Fratelli d’Italia. Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, assiste a questo autosabotaggio abbastanza sbigottito. “Era fuori dalla grazia di Dio”, raccontano diversi testimoni oculari. Che parlano di contumelie lanciate in aria da parte del leghista nei confronti dei non pervenuti. La reazione ufficiale di Giorgetti, che fa scopa con quella di Meloni, è questa: “Il problema è che i deputati non sanno, o non si rendono conto”. Una roba simile apre autostrade alle ricostruzioni. In Fratelli d’Italia c’è chi accusa i salviniani di aver voluto mandare un messaggio a Giorgia: “Nei corridoi sghignazzavano”.
E c’è chi aggiunge anche un altro dettaglio: in Senato il capogruppo leghista Massimiliano Romeo ha fatto aggiungere alla risoluzione di maggioranza sul Def, altra votazione di giornata collegata allo scostamento, una parte non concordata, nemmeno con Giorgetti, sul rafforzamento delle prestazioni sanitarie. Una mossa che avrebbe mandato su tutte le furie Daria Perrotta, capo dell’ufficio legislativo del ministero dell’Economia, in quanto non era prevista nel testo limato fino a tarda notte. Dentro Forza Italia volano gli stracci. Va bene l’assente Marta Fascina, da tre settimane inamovibile al fianco del Cav. all’ospedale San Raffaele, ma tutti gli altri? Poco prima della fatal votazione, Antonio Tajani aveva convocato una conferenza stampa per illustrare la convention milanese azzurra del 5 e 6 maggio. Tra i presenti, l’ala ronzulliana dice per “piaggeria”, anche diversi deputati. Uno di loro, il campano Francesco Rubano, finita la conferenza invece di entrare in Aula si è messo a gironzolare per i corridoi. Magari si è fatto anche un caffettino alla buvette? “No, ero al bagno”. Addirittura c’è anche chi dice di essersi sbagliato a votare. O chi, come il leghista Rossano Sasso, si è intrattenuto sui divanetti. Finiscono nel mirino i capigruppo dei partiti di maggioranza. Paolo Barelli, assente per un motivo personale non rinviabile, dice al Foglio: “E’ vero: abbiamo fatto una figura di fango. Ma non c’è alcuna dietrologia: la maggioranza è compatta”. I ministri e sottosegretari eletti alla Camera, e in missione, vengono sbattuti anche loro sul banco degli imputati. Sono sparsi per il globo terracqueo tra convegni, seminari, bilaterali, strette di mano da postare sui social. Debora Bergamini è a Vienna, per esempio, a un appuntamento del Ppe. Siccome la colpa è di tutti e di nessuno c’è anche chi, tra i leghisti, se la prende con Luca Ciriani, ministro di FdI per i Rapporti con il Parlamento. “Ma io avevo avvisato con il debito anticipo dell’importanza di questa votazione a maggioranza assoluta”, spiega a chi gli chiede lumi. Le opposizioni se la ridono. Giuseppe Conte, assente perché è in tour a Brescia per le amministrative, tuona: “A pagare saranno gli italiani”. “Io non ho coraggio a chiamare Giorgia, nemmeno a scriverle”, raccontano i parlamentari più vicini alla “capa”, in grado si sfuriate epiche davanti a eventi simili.
D’altronde proprio Meloni quando riunì i suoi eletti disse loro con tono solenne: “Ricordatevi che non state qui per pigiare un bottone o, peggio ancora, per non esserci”. Si è visto com’è andata. Giornata di impazzimento generale, insomma. E con la premier a Londra costretta alla fine a parlare con i cronisti al seguito dei guai di casa. Siccome la maggioranza non ha votato lo scostamento, la prassi vuole che si faccia subito un altro Consiglio dei ministri per approvarlo di nuovo. E così, mentre arrivano le giustificazioni più assurde, viene convocato per un paio di minuti un Cdm lampo. Quanto basta per far ripartire da capo tutto l’iter tra Camera e Senato. Si riprende a votare oggi. Non sono ammessi scherzi. Perché in ballo c’è appunto il taglio del cuneo fiscale da approvare il giorno della festa dei lavoratori, dopo aver incontrato il giorno prima i sindacati convocati in fretta a Palazzo Chigi domenica prossima. Poi, certo, oggi torna Meloni: auguri.