"Un'analisi della sconfitta singolare. Tipo Gigi Proietti". Gli sbuffi di Guerini su Schlein
L'ex ministro della Difesa commenta coi suoi parlamentari le spiegazioni offerte dalla segreteria sul voto delle amministrative. "Dove si vince è merito suo, quando si perde è colpa degli altri". La tensione su Pnrr e armi, tra Roma e Bruxelles
La scena è stata solo evocata, ma tanto è bastato per rendere chiaro il senso del paragone. L’analisi della sconfitta – o, per meglio dire: l’analisi dell’analisi della sconfitta – che si colora, benché con l’accento lombardo di Lorenzo Guerini, di icastica romanità. “L’analisi dei risultati mi sembra quella dell’avvocato di Gigi Proietti: abbiamo vinto a Brescia per merito della nuova segretaria. Invece abbiamo perso i ballottaggi per colpa di chi c’era prima. Piuttosto singolare come lettura, diciamo”. Questo è il pensiero che l’ex ministro della Difesa, leader dell’ala riformista del Pd, ha consegnato ai suoi parlamentari più vicini dopo una giornata di riflessione passata, lui come un po’ tutto il gruppo dirigente dem, a cercare nelle parole di Elly Schlein non già un’ammissione di colpa, ma almeno l’assunzione di una responsabilità, una dichiarazione che illuminasse i perché della disfatta alle amministrative.
Il riferimento di Guerini è alla celebre gag: quella in cui il povero contadino si sente spiegare dal suo legale come su tanti aspetti della causa in corso loro potranno fregare, loro due insieme, la controparte, e che però su alcuni altri passaggi sarà lui, il contadino da solo, a restare fregato. (Il lessico utilizzato da Proietti è in effetti un po’ più crudo, e più efficace a esprimere la gravità delle fregature: ma basta cercare su YouTube, per gustarsi lo sketch originale).
Elly come nuova eroina della tartuferia nazarenica, dunque? Forse sarebbe troppo ingeneroso. O forse, come giura chi ha raccolto lo sfogo del presidente del Copasir, il riferimento non era tanto alla sola segretaria, quanto a chi, tra i suoi fedelissimi, è riuscito nel giro di quindici giorni a illustrare le evidenze dell’“effetto Schlein” dopo i risultati, sia pure appena incoraggianti, del primo turno, a sostenere la tesi per cui in nessun modo la sconfitta dei ballottaggi possa essere attribuita alla nuova leader “che è in carica da appena tre mesi e si è trovata liste già fatte e candidati già scelti”. Prima che la politica, è la logica che non torna, per la contradizion che nol consente.
Ma non è solo nel gioco illusionistico delle giustificazioni del giorno dopo, che le riflessioni di Guerini cozzano con quelle dei consiglieri di Schlein. C’è al fondo una concezione del ruolo del Pd diversa. Diversa ad esempio da quella di chi, come Francesco Boccia, capogruppo dem al Senato, rivendica il primato del partito nei voti di lista. Perché qui, al di là delle dissimulazioni, si intravede quella che per l’ex ministro della Difesa è la tentazione di “ritirarsi nella comfort zone del perimetro identitario tradizionale”: ma l’ambizione del Pd, almeno nella concezione veltroniana che fu, per molti riformisti resta, o dovrebbe restare, quella di andare al governo, non solo quella di garantirsi un buon risultato per il proprio simbolo. Ed è una divergenza di vedute, questa, che potrebbe evidentemente acuirsi nell’avvicinamento alle elezioni europee, col proporzionale puro che spingerà ciascuno a giocare la sua partita, con buona pace della costruzione di un’alternativa solida alla destra.
Questo, ovviamente, nella lunga prospettiva. Ma le tensioni interne al Pd rischiano di esacerbarsi già nelle prossime settimane. A partire da domani, anzi, se è vero che al Nazareno ci sarebbe la voglia di suggerire l’astensione alla delegazione europea dem che a Bruxelles è chiamata a esprimersi sul nuovo regolamento comunitario che consente agli stati membri di attingere ai fondi di coesione e a quelli del Recovery per potenziare la produzione di munizioni, vista la penuria dovuta al sostegno all’Ucraina. La decisione maturerà stamane, nel corso dell’assemblea del gruppo dei socialisti europei: ma se Guerini s’è attivato per evitare inciampi è perché, a quanto pare, il rischio di un voto che smentirebbe la posizione fin qui tenuta da Schlein sulla guerra non è poi così remoto. E a un simile ripensamento conseguirebbero nuove baruffe interne.
Senza contare, poi, che non solo delle diffidenze tra la segreteria e l’ala riformista si alimenta l’entropia crescente dentro il Pd. Sono per certi versi i maggiorenti delle stesse correnti che hanno sostenuto l’ascesa di Schlein a lamentare, e ormai da qualche settimana, l’inafferrabilità della segretaria. Inconsistente sul piano della politica di Palazzo, e quello era forse preventivabile, per una neofita; ma impalpabile pure su quello comunicativo (il suo profilo Twitter, per dire, è muto dal 5 maggio). Non un’intervista che, armocromia a parte, tracci una traiettoria per il partito; non un’iniziativa legislativa concreta che dia centralità al Pd nelle Camere. A Montecitorio l’ufficio di presidenza è ancora sospeso per veti incrociati che Schlein non osa sciogliere; sul salario minimo l’idea di raccogliere le firme è stata accantonata senza neppure essere davvero valutata; sul Pnrr Enzo Amendola, dopo avere a lungo sollecitato il Nazareno a occuparsi del dossier, è stato pregato di intervenire, lui che nella segreteria non ha alcun ruolo, sui giornali. La mozione sul Mes che a fine mese potrà dare qualche grattacapo a Giorgia Meloni, pure quella è nata su iniziativa spontanea di una manciata di deputati (tra cui lo stesso Amendola) che ha giocato di sponda col Terzo polo. Verrebbe da chiedersi, parafrasando Corrado Guzzanti, “Dov’è Elly?”. Ma per oggi, forse, basta Proietti.