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L'intervista

“Le riforme sono una priorità, il Pd ascolti Meloni”. Parla Ceccanti

Gianluca De Rosa

Il costituzionalista ed ex deputato dem ricorda lo spirito riformista dell'Ulivo, ma sottolinea: "Sta al centrodestra, che avrebbe i numeri per vararle da sole, creare un clima di non autosufficienza"

 “Sulle regole comuni il mandato è per aprire un confronto aperto e libero, non per conclusioni unilaterali”. Come suggerimento per affrontare l’incontro con Giorgia Meloni sulle riforme istituzionali Stefano Ceccanti, costituzionalista ed ex deputato del Pd, offre a Elly Schlein una tesi che arriva direttamente dalla tesi 1 del “patto da riscrivere insieme” dell’Ulivo. Era 1996 e per le riforme, le “regole comuni”, il centrosinistra auspicava un clima collaborativo con l’opposizione. E’ anche su questo che si misura se nel Pd di Schlein c’è ancora spazio per il riformismo di allora o se il partito è destinato, come accusano dal Terzo polo, “a ridursi a movimento a vocazione minoritaria”. ” Se il Pd fa il Pd – dice Ceccanti – non si parte da zero”. Il costituzionalista dem sottolinea però come la responsabilità principale di un dialogo vero “è in mano alla maggioranza che è forte dei numeri”. Meloni, infatti ha la maggioranza assoluta in entrambi i rami del parlamento. Potrebbe dunque approvare le riforme senza bisogno delle opposizioni per poi sottoporle a referendum popolare. “Sta a loro – dice – creare un clima di non autosufficienza”.

 

Anche per questo nel Pd si guarda con scetticismo all’incontro di oggi pomeriggio. “Le riforme non siano uno strumento di distrazione di massa”, filtrava ieri dalla segreteria dem riuniuta per preparare l’incontro. La sensazione è che il Pd di Schlein non veda le riforme come una priorità. Eppure Ceccanti ricorda che “le riforme costituzionali non fanno direttamente le politiche ma fanno sì che le politiche si possano fare. Se riteniamo che una capacità di decisione di lungo periodo sia una priorità – dice – allora le riforme lo sono”.
Il presidenzialismo o il premierato al Pd non piacciano, ma allora con quale proposta ci si potrebbe presentare al tavolo con Meloni? L’ex deputato anche su questo torna alla tesi 1 dell’Ulivo dove si legge: “Una forma di governo centrata sulla figura del Primo Ministro investito in seguito al voto di fiducia parlamentare in coerenza con gli orientamenti dell’elettorato. A tal fine è da prevedere, sulla scheda elettorale, l’indicazione – a fianco del candidato del collegio uninominale – del partito o della coalizione alla quale questi aderisce e del candidato premier da essi designato”. “E’ bene – dice Ceccanti – che l’elettore conosca le conseguenze del suo voto senza però giungere a un’elezione diretta. Se si arrivasse fino lì bisognerebbe rivotare ad ogni cambio di Primo ministro e il sistema diventerebbe troppo rigido. Per evitare le crisi basta impostare i poteri secondo quanto prevedono le forme parlamentari razionalizzate, a partire da quella tedesca, con strumenti come la sfiducia costruttiva e la possibilità per il cancelliere/premier di chiedere lo scioglimento anticipato della camera”.

 

Se Meloni fosse davvero disponibile all’ascolto si aprirebbe uno scenario che sa di déjà vu: la bicamerale. “Io – dice Ceccanti – penso sia utile perché crea un luogo distinto dalle Commissioni Affari Costituzionali dove la frattura maggioranza-opposizione domina i lavori, ad esempio dividendosi sui decreti. L’accordo è favorito da una sede a parte, meglio se composta solo sulla base dei risultati proporzionali, depurandola quindi dagli effetti maggioritari legati alla scelta del Governo, e affiancata da un Comitato di esperti”.
L’altro tema è ovviamente l’autonomia differenziata. Nel Pd il tema è molto divisivo. Il  costituzionalista dem è tra gli scettici: “Non credo che si possa aggiungere l’applicazione dell’autonomia differenziata a un sistema che già non funziona. Abbiamo un regionalismo cooperativo senza sedi di cooperazione in Costituzione, in particolare senza una Camera delle autonomie”.
 

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